Jake Edward Kennedy nasceva diciott’anni or sono nella città di Nottingham. Come qualsiasi altro giovinotto inglese cresceva a forza di birra e football ed evidentemente qualche buon album musicale lasciato da mamma e papà su di una credenza nel salotto di casa a prendere polvere mentre erano costretti a passare le giornate chiusi in una qualche fabbrica. Magari uno di quegli album vedeva ritratto un ragazzo che nel suo giubbotto scamosciato camminava al fianco di una giovane ragazza che le si stringeva ad un braccio (The Freewheelin’ Bob Dylan per la cronaca). Alla ‘tenera’ età di dieci anni (dodici per la precisione stando a Wiki) magari gli veniva regalata una chitarra ed ecco che cominciava a strimpellare le prime filastrocche dedicate alla fanciulletta sdentata con cui divideva il banco di scuola. Raggiunta la maggiore aveva già pubblicato un disco per un’importante etichetta musicale, aveva raggiunto le cime delle charts inglesi e qualcuno lo aveva cominciato a paragonare al ragazzo della copertina sopracitata.
E’ andata più o meno così a Jake Bugg, nuovo “Woody Guthrie, Bob Dylan, Donovan, Noel Gallagher, Alex Turner eccetera eccetera” della musica inglese. Sì, perchè parlando e sentendo parlare di questo ragazzo, e della sua musica, non ci sarà mai una volta in cui uno dei personaggi sopracitati non finirà per essere chiamato in causa nel discorso. Jake Bugg è un pastiche di tutto questo. E’ un frullato di suoni appartenenti ad epoche lontane, e vicine. E’ Woody Guthrie che in un vagone carico di fieno incontra Alex Turner di ritorno dagli studi di Josh Homme nel bel mezzo del deserto Joshua.
Tutto molto bello direte voi. Ma quello che viene da chiedersi è: vale la pena perdersi nella musica di un giovane che non fa altro che copiaincollare ciò che i suoi (ma anche i nostri) idoli musicali hanno già detto, fatto e scritto? Rispondere non è semplice, soprattutto perchè Bugg ci conduce dinnanzi a un bivio: a destra un disco piacevole all’aroma di Mississipi ’30 in cui pezzi di rock’n’roll sbarazzino (“Lighting Bolt”, “Two Fingers” “Taste It”) si mescolano a gustose ballate melanconiche (“Country Song”, “Simple as This”, “Someone Told Me”), a sinistra il fatto che dopo aver gridato in un primo momento ‘Wow!! forte ‘sto Bugg!’ tre secondi dopo sei li a riflettere ‘sì, ma sto brufoloso che si crede il Dylan di noialtri a chi vuole darla a bere?!..’.
E’ questo il problema: “Jake Bugg” finisce per lasciarti con l’amaro in bocca, perchè se da un lato il lavoro nel complesso è apprezzabile, ben suonato, a tratti energico, a tratti delicato e mieloso, dall’altro sai che non c’è nulla di nuovo e originale in tutto ciò e ti senti come preso per i fondelli.
La decisione quindi spetta a voi: prendere o lasciare?