Se c’è una cosa che apprezzo in un connoisseur musicale è la versatilità , caratteristica che di solito si consolida grazie ad una adolescenza passata a seguire differenti generi, spesso anche imbarazzanti, da Britney Spears ai Duran Duran – chi è senza peccato, scagli la prima pietra. Subito dopo alcuni ascolti opinabili, nella prima adolescenza mi sono avvicinata al metalcore; un genere che i metallari snobbano perchè troppo vicino all’hardcore e i punk evitano perchè troppo heavy. Un piccolo “bastardo”, da rivalutare grazie ad un calibrato incontro di melodia e growl, come dimostrano nuovamente gli ormai rodati Parkway Drive.
Raggiunta la fama durante la rinascita del genere qualche anno addietro, questo gruppo australiano ha puntato tutto su un suono lineare e non pretenzioso, riuscendo a soddisfare sia i fan che la critica. Dopo l’uscita di “Deep Blue”, il nuovo “Atlas” è stato accolto con un misto di gioia e scetticismo. Le prime tracce infatti sembrano muoversi su un territorio eccessivamente cauto, mancando di quel retrogusto math-metal che caratterizzava le uscite precedenti. Eppure, a partire da canzoni come “Wild Eyes”, il disco inizia a ingranare, arricchendosi di un apparato strumentale più corposo, con spazio anche per assoli e interludi (“The Slow Surrender”).
Gli strumenti, pur non brillando per incredibili virtuosismi tecnici, portano avanti dignitosamente il loro compito, introducendo inaspettatamente degli archi alla formula (“Atlas”, pezzo migliore del disco”). Piacevole sorpresa, in quanto solitamente è la voce di Winston McCall ad essere sotto i riflettori, anche grazie alla coraggiosa scelta di non ripiegare su fortunate divagazioni in voce “pulita”, prediligendo growl e scream. Ad accompagnare la voce anche in questo caso testi d’impatto: “It’s not the years in your life/It’s the life in your years” (“The River”). Interessante anche la presenza di diversi echi e controcanti, i quali si scontrano perfettamente con lo stile di McCall, aggiungendo una aura epica tipica del power metal (“The River”, “Blue and Grey”).
Ruggine a parte, trovo che “Atlas” sia un disco perfetto tanto per chi si vuole riavvicinare al genere, quanto per i fan storici della band. Nonostante non spicchi per sperimentazioni e innovazioni tecniche, il nuovo album dei Parkway Drive è un genuino disco di metalcore vecchia scuola. Servono altre motivazioni?
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2. Old Ghosts / New Regrets
3. Dream Run
4. Wild Eyes
5. Dark Days
6. The River
7. Swing
8. The Slow Surrender
9. Atlas
10. Sleight of Hand
11. Snake Oil and Holy Water
12. Blue and the Grey