Finger-picking, arpeggi di chitarra e voce solista sono i tre ingredienti base di “Machine of love and grace”, l’ultimo album di Martha Tilston, uscito a ottobre per l’etichetta di sua proprietà Squiggly.
La cantautrice inglese, “figlia d’arte” per quel che riguarda la musica folk (sua madre è Maggie Boyle, famosa cantante folk irlandese) torna in scena con un album, il quarto da solista, che rispecchia il suo stile “acqua e sapone”, lento, riflessivo, a tratti malinconico. Le sonorità irlandesi hanno lasciato il posto a un folk acustico, centrato completamente sulla voce, chiara e riflessiva.
A cinque anni di distanza dall’album “Of Milkmaids & Architects”, acclamato dalla critica e che le era valso una nomination come Best New Act ai BBC Folk Awards, e a due anni dal suo album precedente, “Lucy and the Wolves”, uscito nel 2010 e da molti considerato il suo lavoro migliore, la Tilston continua a usare la sua voce da soprano per portare l’attenzione su questioni riguardanti l’ambiente e le cause umanitarie.
Voce, chitarra e cori si’ntrecciano in un susseguirsi di 11 tracce, che scorrono in modo forse un po’ troppo uniforme e senza brani che prevalgono o emergono sugli altri., senza stacchi e senza sonorità brusche. Il disco si apre con “Stags bellow”, primo singolo estratto, ascoltandolo non si può fare a meno di visualizzare le mani della cantante che giocano con le carde della chitarra. L’impegno sociale della cantante emerge da brani come “Wall Street”, che fa riferimento al movimento Occupy, o “More”, che, con cori e ritmo in crescendo, racconta delle fascinazioni del capitalismo. Troviamo atmosfere sospese, come quelle di “Silent women”, o sonorità quasi primaverili, naturali, come quelle di “Suburbia”.
L’artwork del disco, come per tutti i suoi lavori precedenti, è stato disegnato dalla stessa Martha, e giocando sui toni dell’ocra e del blu raffigura una mongolfiera che, vista da dietro foglie ed elementi naturali si alza in volo, lasciando a terra giraffe, velieri carovane e altre figure di fantasia stilizzate. Un invito, forse, a chiudere gli occhi e lasciarsi trasportare nel mondo fantastico, etereo e leggero della Tilston.