Nell’anno dei cinquantesimo anniversario della saga cinematografica più longeva dell’agente segreto più famoso di sempre (ventitrè film per la precisione), le redini vengono affidate ad uno dei più talentuosi registi del panorama mondiale, quel Sam Mendes che riannoda i fili del passato di James Bond, in un film raffinato, autoriale e intenso senza pagare dazio allo spettacolo e i crismi propri del genere.
Con un Daniel Craig ormai assurto come l’unico Bond cinematografico possibile, forse il migliore di sempre.
“La parola fine su tutti gli horror sulle case stregate”. Dietro l’esordiente Drew Goddard si cela il demiurgo Joss Whedon, in un atto d’amore verso il genere e un regalo di citazioni sottili e situazioni care ai fan degli horror.
Nonostante il pessimo doppiaggio italiano la pellicola è un piccolo compendio di sangue, pieno di sorprese e suspense.
Dire di più sulla trama sarebbe un delitto. L’anno zero per l’horror.
Spiazzante, intenso, malato eppure di una bellezza sconvolgente.
L’opera seconda di Steve McQueen colpisce per la potenza delle immagini, gli splendidi piano sequenza, la cura maniacale di ogni ripresa e la bravura ancestrale del suo attore feticcio Michael Fassbender si magnificano nel descrivere le pulsioni sessuali di un uomo denudato della propria dignità , una discesa negli inferi della sex addiction che è un’opera d’arte intima, coraggiosa e controversa.
Tratto dall’omonimo libro di Yann Martel, (vincitore del Booker Prize 2002) e considerato infilmabile dai più, l’autore cinese Ang Lee riesce nell’impresa di tradurre in immagini l’avventurosa vicenda di Piscine Patel e incantare con una rapsodia affascinante ed ipnotica con un uso incisivo e compiuto del vituperato 3D, utilizzato finalmente come linguaggio e non come mero espediente.
Un film che è una festa per gli occhi nonchè una parabola delicata, semplice e intelligente per l’anima .
Spy story classica tratta dal best seller di John LaCarrè “Tinker tailor soldier spy” diretta impeccabilmente dal regista svedese Tomas Alfredson (dopo il capolavoro horror d’esordio “Lasciami entrare” del 2008), “La Talpa” è un gioiellino dall’impalcatura narrativa precisa e robusta che si dipana attraverso l’annodarsi di diverse storie muovendosi tra differenti registri stilistici, saccheggiando il clichè delle spie ciniche e malinconiche e attingendo al climax del maestro Hitchcock.
Trama intricata, complessità dei personaggi, inquadrature millimetriche, atmosfera fulgida, cast d’attori formidabili questi gli ingredienti di un film dal meccanismo e la coralità perfetta. Il cinema nella sua pura quintessenza.
L’accoppiata vincente tra il regista figlio d’arte Jason Reitman e la sceneggiatrice Diablo Cody torna ad indagare i meandri della middle-class americana con una anti-commedia acida e politicamente scorretta come la ghost-writer anti-eroina per eccellenza interpretata dalla bellissima Charlize Theron, ormai nell’olimpo delle migliori attrici del globo, tutta giocata su contrasti stilistici e visivi che de-costruisce gli archetipi del genere prendendo di petto la rom-com capovolgendola del tutto, grazie ad un personaggio femminile a tutto tondo come non se ne vedevano da tempo sul grande schermo. Tutti invecchiano, ma nessuno cresce.
Trasposizione sul grande schermo del romanzo “La straordinaria invenzione di Hugo Cabret” di Brian Selznick. Una sfida interessante anzitutto perchè per la prima volta Scorsese si cimenta con un film indirizzato ad un pubblico giovanile, oltrechè per la curiosità circa l’utilizzo del 3D da parte di un grande autore. La passione viscerale per il cinema viene sciorinata in ogni inquadratura da Scorsese, che indica soluzioni e potenzialità del nuovo mezzo.
Dirige un’opera contemporanea farcita di allusioni e citazioni (Pabst, Lumiere, Fellini, Keaton, Chaplin, Murnau etc..) a un tempo perduto, un omaggio sincero e potente alla Settima Arte che è un godere per gli occhi e il cuore.
La vera sorpresa dell’anno è questa commedia francese campione d’incassi in patria che anche da noi è stata ha messo d’accordo pubblico e critica. Una formula tutto sommato semplice e garbata ma priva della spocchia buonista e perbenista di quelle nostrane, capace di scaldare i sentimenti e di garantire sonore risate intelligenti.
Tutto ciò di cui noi italiani eravamo famosi nel panorama cinematografico mondiale e che abbiamo dimenticato a fare.
Il blockbuster dell’anno, uscito tra scetticismo e incertezze, ha messo d’accordo tutti e riacceso l’interesse del pubblico verso il cinecomic. Gli incassi da record hanno premiato la bravura del regista nerd Joss Whedon vero artefice del successo della pellicola capace di gestire con saggezza e toni da commedia un cast corale di prime donne, dando equilibrio e maestosità alle sequenze topiche d’azione.
Capostipite di una nuova ondata e generazione di blockbuster fumettistici con il giusto mix tra l’autorialità di Nolan e la spettacolarizzazione ludica di Michael Bay.
Il ragazzo prodigio Seth MacFarlane, autore noto sul piccolo schermo per aver creato “I Griffin”, “American Dad” e “The Cleveland Show”, compie il grande passo con il cinema e ne esce un film politicamente scorretto come nelle sue corde d’autore: irriverente, sboccato e cinico.
Tutti gli ingredienti che avevano reso popolari i personaggi delle sue serie televisive sono condensati nell’orsacchiotto volgare e scorbutico divenuto già icona, metafora neanche troppo sottile sui bimbi prodigio, la gestione del successo e il conseguente declino che nessuno ha compreso. La commedia che i fratelli Farrelly non riescono più a fare.
Il tocco sgargiante di Wes Anderson torna con tutto il suo ambaradan cinematografico, colori pastello in kodachrome, scenografia vintage attenta nei minimi dettagli, attori feticcio, musiche puntuali e diegetiche per placare l’assetato pubblico di devoti cinefili sparsi nel globo. Anche questa volta coglie nel segno con una storia d’amore tra dodicenni e si conferma come uno dei migliori talenti della settima arte.
Il film fa rima con magia e poesia, sempre a metà strada tra commedia e dramma senza disdegnare nemmeno un compiaciuto briciolo di auto referenzialità che perlopiù rassicura piuttosto che svilire la poetica del genietto texano.
Attore così così, bravo sceneggiatore, magnifico regista. In sintesi questa la vita artistica dell’enfant prodige hollywoodiano Ben Affleck che con questa pellicola esalta tutte le qualità intraviste nei suoi due ottimi precedenti lavori.
Una pellicola solida come il legno di quercia, avvincente e pregiata come i bei film americani di una volta, capace di giocare con i registici stilistici tra accumuli thriller e divagazioni ironiche, arricchendo in punta di cinepresa i tratti psicologici e i risvolti umani dei personaggi grazie a un cast ben calibrato. Profumo di oscar dopo il Golden Globe come miglior film e miglior regia.
Probabilmente il miglior film dell’anno. Straziante, sincero, lucido, laico e sincero.
Il registra austriaco Michael Haneke sbanca Cannes per la seconda volta con l’ennesima Palma d’oro narrando la storia d’amore tragica eppur delicata tra una coppia ottantenne di due musicisti, interpretati da due icone d’oltralpe come Jean Luis Trintignant e Emmanuelle Riva.
Arte cinematografica pura, cruda, primordiale, feroce e dannatamente vera.
L’amore così com’è, non così come deve essere. Priva di orpelli romantici senza privarsi del sentimentalismo necessario. La bellezza dell’amore che si erge crudele sulla morte, un film raro e potente come solo il cinema, in quanto arte, sa raccontare.
Candidato giustamente a 5 premi oscar.