Finalmente è arrivato: con l’attesissimo “Hummingbird”, i Local Natives decidono di uscire dalla loro “comfort zone” ed abbracciare un sound più maturo, osando con sintetizzatori e discostandosi da un sound fondamentalmente “organico”. Alle prese con il famigerato secondo album, il rischio di risultare ridondanti o tradire la fiducia dei fan crea una certa aura di aspettative. Dopo ben quattro anni dall’uscita nello UK di “Gorilla Manor”, “Hummingbird” è stato sezionato e analizzato fin dal primo streaming soundcloud di “Heavy Feet”.

Un disco che all’apparenza incaspula l’animo hipster (Aaron Dessner dei The National alla produzione, scritto dopo il tour con gli Arcade Fire), nonostante i Local Natives siano da sempre stati paladini del filone dreamy-pop, ancora prima che diventasse such a big deal.

“Hummingbird” si mantene fedele al marchio di fabbrica dreamy (voci polifoniche, delay e riverberi), arricchendosi di schegge elettroniche e distorsioni sporche rigorosamente accenate (“Breakers”, “Three Months”), in un continuo gioco di richiami suggeriti in una base già  di per se polifonica. La batteria contribuisce a creare un altalenarsi di climax musicali, creando un contrasto inaspettato con i riff elettrici (“Wooly Mammout”), oppure unendosi all’ampio spettro di voci (“Black Spot”).

I brani si spogliano, fino ad abbracciare una attitudine minimale ad una voce e pianoforte (“Three months”), che lentamente si evolve, creando aspettative (“Mr. Washington”) che non sempre soddisfa (“Colombia”). Questo a voler sottolineare i picchi emotivi del disco, in grado di ricreare atmosfere intime: Every night I’ll ask myself, am I loving enough? (“Colombia”). Ai suoni sincopati di impianto tropicana (“You and I”) si accosta “Black Balloons”, unico brano basato chiaramente sull’impronta dei Local Natives di “Gorilla Manor”.

“Hummingbird” segna un duplice cambio di rotta, fondato su due scelte completamente opposte: lo spogliandosi di suoni e l’arricchimento strabordante di orpelli musicali. Nonostante ciò, il disco rimane fedele all’anima della band, dimostrando che questa formula, seppur innovativa ai tempi degli esordi ed etichettata come “già -sentita” quattro anni dopo, con i Local Natives mantiene tutt’ora la sua freschezza.