A cavallo tra gennaio e febbraio, nei giorni a ridosso dell’inizio del tour dei rinati Desaparecidos e quando ancora non è ben chiaro il futuro dei Bright Eyes, Conor Oberst ha deciso di far assaporare anche alla vecchia Europa la sua performance acustica con la quale ha girato gli Stati Uniti nel 2012, spinto anche dalla ristampa di “Fevers and Mirrors” e dell’EP “There Is No Beginning to the Story”.
Parigi, la città romantica, ci accoglie con pochi gradi sopra lo zero ed un brutto cielo grigio. La movida di Bastille però sembra interessarsene poco e le vie sono un continuo movimento tra un locale e l’altro.
Lontane origini maltesi ma nato e cresciuto a Palenville – New York, Simone Felice, dopo essersi lasciato alle spalle la lunga esperienza con i Felice Brothers ed i The Duke and the King, accompagnato dal violino e dalla splendida voce di Simi Stone, apre la serata presentando il suo disco solista.
Simone è figlio dell’indie folk rock delle band in cui ha suonato per anni ma meno sfacciato, più semplice, più caldo, più intimo e più personale. La chitarra acustica ed il violino scaldano la sua voce che racconta storie di vita vissuta, storie dell’America polverosa, come nella bellissima ed oscura ballata “New York Times” ed in “Courtney Love”, dove gli errori della cantante delle Hole diventano una bandiera per tutti gli errori di chiunque ascolti e si immedesimi nella canzone stessa.
Simone Felice è stato ben 2 volte vicino alla morte per una malformazione cardiaca: a 12 anni quando è stato dichiarato clinicamente morto per alcuni minuti, e nel 2010. Quando mi guardo allo specchio vedo un’apparizione, questo è quanto dichiara e questo è quello che si percepisce dalle canzoni, pregne di significato, di vita e di passione.
Tutti sono venuti per sentire Conor Oberst, ma nessuno è rimasto minimamente deluso da Simone Felice e tutti lo hanno ascoltato con religioso silenzio ed attenzione fino alla divertentissima scena finale in cui Simone ha ringraziato pubblicamente l’amico Conor che gli ha risposto più volte gridando dal camerino.
Mentre sul palco cambiano la strumentazione, mi accorgo che non troppi francesi sono presenti al Cafè de la Danse; non troppi rispetto a quanti chiunque ne potrebbe immaginare in un concerto a Parigi. Molti italiani, americani, inglesi, ungheresi e gli stessi francesi provengono da moltissimi angoli della Francia. Questo sta a rappresentare quanto ormai viaggiare per musica sia sempre più diffuso, quanto unisca diversi interessi e soprattutto quanto faccia conoscere persone e formare amicizie.
Un annuncio metallico dichiara poi l’inizio del concerto e dopo un minuto di intro, il ragazzo di Omaha rompe il silenzio che si era creato al calare delle luci.
“The Big Picture” è già un concentrato di quello che è Conor Oberst: intimo, malinconico, introspettivo, spesso straziante, come la sua voce, tremante al punto che talvolta sembra stia per scoppiare in lacrime nel suo approccio quasi confessionale al pubblico.
La dolcissima “First Day of my Life” segue a ruota. Appena due canzoni e la platea è già coinvolta fino all’ultima fila.
La scaletta è quasi totalmente monopolizzata dai Bright Eyes, ma trovano spazio anche alcuni pezzi con la Mystic Valley Band ed un pezzo dei Monster of Folk.
Oberst negli ultimi anni ha infatti intrapreso un percorso musicale vario ed intenso. Oltre all’ultimo “The People’s Key” con i Bright Eyes, ha pubblicato 2 album con la Mystic Valley Band dove i lati live e rock hanno avuto il sopravvento e nel 2009, con Jim James (My Morning Jacket), M. Ward (She & Him) e Mike Mogis (Bright Eyes), è stata la volta dei Monsters of Folk che, più che pubblicare un disco da supergruppo, hanno accresciuto notevolmente l’uno il bagaglio dell’altro, aiutandosi reciprocamente nel percorso di maturazione. Ultima ma non ultima l’attuale esperienza post-rock con i rinati Desaparecidos.
Tutto ciò fa sì che sul palco le canzoni acustiche non suonino nude, spoglie o prive della loro linfa vitale e grazie al supporto dell’amico Ben Brodin (chitarra/piano/vibraphone), il suono è rotondo e con una propria identità .
L’interazione col pubblico purtroppo è quasi nulla. Poche parole ed un atteggiamento cupo, malinconico, come se turbato da chissà quale pensiero. Non è mai stato un grande oratore ma una persona piuttosto schiva e timida e forse anche questo fa sì che si sia creato intorno a lui un sentimento di simpatia/antipatia, forse proprio per via di questa velata spocchia. Anche senza cercarlo direttamente, il contatto col pubblico però c’è ed è molto intenso, un pubblico sempre e comunque magneticamente attratto dalla sua voce, dalle sue parole, dalle sue melodie, mai distratto e mai colpevole del sempre fastidioso brusio di sottofondo.
Due le canzoni inedite; “Night at Lake Unknown” e la toccante “You Are Your Mother’s Child”; ma l’apice della serata viene raggiunto con “At the Bottom of Everything”, “Shell Games”, dove inizialmente si scusa se la canzone non suonerà come nel disco e “Lua”, dove viene accompagnato dalla bellissima voce di Simi Stone, chiamata più volte da Conor sul palco.
L’intero live ha letteralmente rapito la platea, ha portato un pezzo di America in un angolo di Bastille, ha fatto emozionare, ha fatto sussultare con il suo alternarsi di stati d’animo ed ha persino fatto ballare, quando, accompagnato dal resto dei compagni, Conor ha intonato la ballata country-western “Make War”.
Pur avendo solo 33 anni, Conor Oberst è un artista completo, con un songwriting raro (spesso i testi sono storie introspettive) ed una vena artistica fuori dal comune. Indie, folk, country, rock, post-rock, Bright Eyes, Conor Oberst and the Mystic Valley Band, Monsters of Folk, Desaparecidos. Quale sarà il prossimo passo del ragazzo dal freddo Nebraska?
Setlist
THE BIG PICTURE
FIRST DAY OF MY LIFE
ARIENETTE
CAPE CANAVERAL
GOING FOR THE GOLD/TEN WOMEN
LENDERS IN THE TEMPLE
CLASSIC CARS
LADDER SONG
NIGHT AT LAKE UNKNOWN
AT THE BOTTOM OF EVERYTHING
WHITE SHOES
YOU ARE YOUR MOTHER’S CHILD
SHELL GAMES
LUA
MAP OF THE WORLD
LAURA LAURENT
BREEZY
— encore —
AN ATTEMPT TO TIP
MAKE WAR
WASTE OF PAINT