Della serie se non sono matti non li vogliamo, il nuovo “crossover neuronico” dell’artista americano Darwin Deez assume connotati orfani di un baricentro rassicurante, si direbbe che giusto il tempo di due anni dall’esordio sulla ribalta underground internazionale sia bastato per guadagnarsi l’eccellente reputazione dello scavezzacollo primario del lo-fi anti tutto, e questo sbicentramento e primato viene rappresentato vivamente in “Songs for imaginative people”, il secondo disco di carriera, un cortocircuito lunatico benedetto dagli intriganti respiri di un Beck in spandex “You can’t be my girl”, “Moon lit” e certi Strokes in fregola “Good to lose”, “Free”, ad ogni modo lì in mezzo.
Il filo conduttore è la non conduzione dove la qualità viene esaltata nel contrasto con la forma canzone strutturata che, tuttavia, risulta strepitosa e imperdibile, un pochetto meno brillante dell’esordio, ma con una obliqua variante che si veste di eccesso come di felice intuizione artistica; Deez con la patria podestà virtuale di un crazy Ben Fold, è in forma, riesce a movimentare l’ascolto con una pioggerella di sonorità maculate che si lasciano ascoltare e che dopo vari giri di prova paiono sembrare la cura per ogni male; nessuna pecca di canagliesca artificiosità , l’audace spensieratezza col broncio “Alice”, e quel sapore lontanamente soft-Motown che fuoriesce dai territori non segnati di “Chelsea’s Hotel” possono essere trattenute come campionatura di tutta la scaletta e come esempio di un mondo sonoro che ha per tetto le fondamenta sotto i piedi.
Il Newyorkese Deez si conferma diabolicamente deviante e beffardo, l’inconoscibile che pulsa oltre l’apparenza.
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2. You Can’t Be My Girl
3. Moonlit
4. No love
5. Good To Lose
6. Alice
7. Redshift
8. Free (The Editorial Me)
9. All In The Wrist
10. Chelsea’s Hotel