Galles, terra del Drago Rosso, luogo di cultura, miti,storia e leggende. Una in particolare stuzzica la nostra curiosità . Ne conosciamo la protagonista, una voce ruvida e pastosa, ne percepiamo il sapore di un’era passata, il “brit pop”, ne rispettiamo la nomea da grande band, Stereophonics. Protagonisti dei tempi che furono, attori di una decade trascorsa tra evoluzioni e dimenticatoio, i rocker gallesi sono restii dal demordere. Eppure taluni episodi opachi, come un paio di album non memorabili, ridimensionandone l’aurea, ne stavano accrescendo la sensazione di fase discendente. Ma dalle polveri si tende a rinascere e il nuovo album, l’ottavo, è crocevia tra la rinascita e la caduta.

Poniamo allora, immediatamente, un punto fermo nella nostra analisi. “Graffiti on the Train” è il loro album più maturo, più cupo, più malinconico, più contemplativo. Lo percepiamo nelle liriche, finissime nella loro poetica, lo assaporiamo nel cantato, denso e lineare come mai finora. Elementi esemplificativi che un evento doloroso come la morte nel sonno di Stuart Cable, avvenuta nel 2010, potrebbero averne ricevuto influenza ma è comunque innegabile il tentativo di provare e sperimentare qualcosa di nuovo. Dopo tanto peregrinare serpeggia la sensazione che si sia cristallizzato il suono di una band consapevole delle proprie potenzialità  e della propria unicità . Regredisce di fatto il rock ruvido e muscoloso delle origini, sparisce il pop ricercato e magniloquente delle ultime produzioni, fanno irruzione arrangiamenti compositi, spaziano gli archi, i tempi si dilatano.

Tanta carne al fuoco ma cucinata davvero bene,cominciando dall’opener “We Share The Same Sun”. Prendendo vita da una prestazione vocale intensa ed appassionata di Kelly Jones, ne apprezziamo il portamento avvolgente. Quasi mai la band gallese ha fallato un’introduzione. Buone sensazioni si ripetono in quello che sarà  il prossimo singolo, “Graffiti On The Train”, ballad impeccabile, tra le migliori della loro produzione. Con la sapiente mano agli arrangiamenti di David Arnold, il responsabile delle colonne sonore alla base delle avventure cinematografiche di James Bond/007, la melodia acquisisce spessore da instant classic. Da rimarcare la malinconica e struggente chiusura finale a suggellare il tema della fragilità  della vita narrata nelle liriche. “Indian Summer” il singolo di traino, convince e piace nelle sue aperture pop, mentre “Take Me” è una notevole dark ballad con tanto di duetto, interessante, con la fidanzata di Kelly. A metà  del disco giunge il rock, con un forte accento Foo Fighters, di “Catacomb”, niente di trascendentale. Il livello è invece epico con la successiva “Roll the Dice”. Brano sperimentale, inizia soft con voce e chitarra per poi spingersi verso un rock via via più esplicito. Il tripudio finale di archi ne fanno la perla del disco. Intimismo ed abilità  vocale avvolgono” Violins and Tambourins”, rimarchevole il finale in crescendo, mentre l’ambizioso nonchè insolito blues-soul di” Been Caught Cheating” risulta davvero niente male.

Il singolo “In a Moment” funziona e si distende in melodia e ritornello che fanno molto specialità  della casa mentre “No-one’s perfect” è il sipario soft e delicato a conclusione del disco.
La mia idea è che piacerà  ai fan storici e accoglierà  nuovi accoliti, Kelly Jones vi porge i suoi saluti.

Bentornati!

Graffiti On The Train
[ Stylus – 2013]
Similar Artist: Kelly Jones, Feeder, Travis, Ocean Colour Scene

Rating:

1. We Share The Same Sun
2. Graffiti On The Train
3. Indian Summer
4. Take Me
5. Catacomb
6. Roll The Dice
7. Violins And Tambourins
8. Been Caught Cheating
9. In A Moment
10. No-One’s Perfect