Tra non molto la primavera sarà realtà (o almeno si spera): i più fortunati potranno organizzare dei falò notturni in spiaggia, magari semivuota: tutti a raccontare storie, poi a guardar le stelle e le onde; qualcuno si addormenterà e per qualcun altro ci sarà l’occasione di star a tu per tu col mare e con la notte.
Ebbene, i Low confezionano quello che si presta ad essere un album perfetto da ascoltare in cuffia in una spiaggia pressochè deserta quando dopo un falò si son tutti addormentati. Certo l’effetto si ottiene benissimo anche al di fuori di questa circostanza; si consiglia però un bel cielo al crepuscolo o meglio ancora totalmente buio.
“The Invisible Way” si distacca parzialmente dal canonico vestito griffato “Low” non tanto per l’andamento, che si mantiene rigorosamente lento, quanto per l’impianto strumentale: è un album quasi esclusivamente acustico, dalle atmosfere oserei dire a tratti agresti. Diciamolo, un album che sa vagamente di alt-country, di un alt-country scarnificato all’osso. E ciò non deve stupire dal momento che in cabina di produzione si è seduto sua maestà Jeff Tweedy. Aleggiano un sacco, infatti, Tweedy e i suoi Wilco, su gran parte delle 11 composizioni in scaletta. Si faccia caso alla chitarra dell’iniziale “Plastic Cup”, le cui corde così gravi rimandano immediatamente a “Radio Cure”, o alla profondità degli accordi di “Four Score”, o in generale all’atmosfera da desolazione suburbana di stampo “Yankee Hotel Foxtrot” di “Clerance White”. Mimi Parker, poi, canta più del solito: incantevolmente accorata in “Holy Ghost”; alla ricerca di serenità in “Just Make It Stop” (la più ariosa, pur mantenendo uno spesso velo di malinconia, del lotto ““ ancora cifra Wilco-versione-uovo evidentissima); dal lirismo crescente accompagnato dal piano vibrante in “So Blue”. Il pezzo che si avvicina più ai Low classici è invece probabilmente “Anemyst”, mentre il più interessante connubio tra passato e presente risulta “On My Own”: prima parte dallo zompettìo folkeggiante; seconda scandita da basso cupissimo, chitarra arrugginita immersa in languori psichedelici e pianoforte birichino preso da “I’m Trying To Break Your Heart” (ancora Jeff e soci all’ombra delle torri).
Il risultato complessivo è un lavoro dalla ferma fragilità , dalla saggezza confidenziale, dall’imponenza sommessa e soprattutto dalla struggente intensità . Uno di quegli album da far propri, da accostare a sè, da abbracciare e a cui abbandonarsi; un album da amare, senza star troppo a far paragoni con la produzione precedente della band del Minnesota, la quale a vent’anni dal debutto dà ancora una prova di raffinatezza, classe e sincerità .
“The Invisible Way” è un quasi-scheletro i cui ultimi legacci di pelle proteggono un’anima viva e pulsante, uno scheletro il cui flebile ma inesorabile e caldo respiro accompagna la lenta e perpetua risacca del mare primaverile dopo il tramonto.
- Website
- BUY HERE
2. Amethyst
3. So Blue
4. Holy Ghost
5. Waiting
6. Clarence White
7. Four Score
8. Just Make It Stop
9. Mother
10. On My Own
11. To Our Knees