Un disco che di perfettibile ha solo la copertina. Questo è “Afraid Of Heights” quarta prova su lunga distanza di Wavves, progetto nato dalla mente di Nathan Williams e allargatasi col tempo ai contributi di un manipolo di compagni di merende etiliche e sintetiche. Un disco incalzante, frastornato e frastornante, un disco pop di grana grossa.
Ci mette poco più di un minuto per appiccicarsi al cervello e non venir più via, praticamente il tempo di scaldare i motori di “Sail to the sun”, brano a tutto basso e batteria che vi ritrovereste a fischiettare compulsivamente da qui all’eternità se subito dopo non partisse la melodia spring breaker di “Demon to learn on”. Con “Mystic” Nathan ci ricorda che dietro il pop-rock c’è di più e ci riporta alle atmosfere surf che nei lavori precedenti aveva saputo stravolgere così bene ma in generale in “Afraid Of Heights” sembra preferire scelte di apertura piuttosto che arruffarsi su volumi e feedback, tanto che in “Dog” si percepiscono anche degli archi.
Ma è solo un momento e si riparte subito a gola spiegata, con la testa fuori dal finestrino, cercando di mordere una primavera che tarda ad arrivare ma che nel brano che dà il titolo all’album è così come l’ho sempre sognata: fresca, frenetica e consapevole. Wavves è pienamente a suo agio nel suo mondo che declina in tutte le salse, sulle tracce dei maestri Weezer e del mai troppo compianto Jay Reatard ma è pure capace di guardare al di là del proprio recinto, stupendo con la canzone d’amore “Cop” e confezionando un disco che per la prima volta supera i quaranta minuti di lunghezza senza mai annoiare. Nonostante continui a cantarci che non lo abbiamo mai capito, il messaggio è piuttosto chiaro: Wavves sa far musica vendibile, trovando posto da qualche parte tra l’artista e il paraculo. Per questo mi piace da matti.