Nonostante l’immediato paragone che ci viene in mente ascoltando gli Hey Marseilles per la prima volta sia quello con i Decemberists (la voce di Matt Bishop ha praticamente lo stesso timbro vellutatamente folk di Colin Meloy), loro hanno dichiarato di essere cambiati rispetto al primo loro lavoro, e si sente. “To Travels & Trunks”, infatti, era parecchio più folk, ma frutto dei lavori dei singoli membri della band. “Lines we trace”, invece, è un album completo, coeso e coerente, nonostante la scaletta sia tra le più variegate che si possano ascoltare in un unico disco.

Ed è più pop (qualche accenno alla Counting Crows l’avevamo già  avuto, ma qui è un altro pop), grazie all’aggiunta di molti strumenti “da camera”, sopra tutti i violini (fina dalla first track “Tides”); ma “Elegy” chiama in causa i Beirut con i fiati e il ritmo marcatamente da walzer, mentre le percussioni marziali di “Heart Beats” e martellanti di “Bright stars burning” danno il piglio a canzoni altrimenti povere, e a cui Sea Wolf non potrebbe essere stato paragonato. Un pianoforte commovente si fa spazio tra le linee tracciate da un violoncello vagabondo nell’intermezzo strumentale “Matrona”; senza parole il pezzo, senza parole noi che l’ascoltiamo. Loro sono in sette, ma sono capaci di alternarsi sapientemente senza prevalere uno sull’altro, e si sente che gli arrangiamenti hanno fatto un salto di qualità . “Le nuove canzoni esprimono un senso di nostalgia”, spiega Matt. Ma è più il desiderio di saper apprezzare quello che si ha di fronte, piuttosto che quello di trovare un significato da qualche altra parte. Il punto è trovare la propria casa là  dove si è.
Infatti: If you’re looking back, you’ll never move your feet / If you’re looking back, that’s all you’ll ever see / When I find my way to you I know I’ll stay (“Looking back”): un ritornello che sembra prenderci per mano, con armonie vocali che ricordano moltissimo i Midlake, anche per il colore, che poi è lo stesso dell’inizio di “Cafe lights”.

Similitudini e strizzatine d’occhio se ne possono dare molte altre: Lord Huron, Fleet Foxes, senza esagerare col folk e dando un respiro più popolare (sia nel senso pop, che nel senso di tradizionale, per la presenza di strumenti a tema) a musica volutamente non commerciale, ma comunque di ottima compagnia. Sotto il link a un’intervista al frontman Matt Bishop: è sempre interessante conoscere qualcosa in più della storia di una band e di come nascono le canzoni che ascoltiamo.
“Lines we trace” è un album da ascoltare di pomeriggio, all’aperto, magari uno di questi giorni, a metà  tra inverno e primavera. Sul balcone di casa propria, ovviamente. Casa propria a Seattle, magari.

Lines We Trace
[ Onto Entertainment/Thirty Tigers – 2013 ]
Similar Artist: The Decemberists, Midlake, Beirut
Rating:
1. Tides
2. Heart Beats
3. Dead Of Night
4. Elegy
5. Bright Stars Burning
6. Building Glare
7. Madrona
8. Hold Your Head
9. Rainfall
10. Looking Back
11. Cafe Lights
12. Demian

Ascolta “Bright Stars Burning”