Sette sono gli anni che ci separano dall’ultima opera ufficiale a nome Knife, svariate sono state in questo lasso di tempo le pubblicazioni collaterali riconducibili al geniale duo svedese, tra il catacombale precursore del filone witch-house del progetto Fever Ray per mano della sola Karin, i quattro EP a nome Oni Ayhun del fratello Olof, tra techno e tribalismi, e l’impegnativa opera avant-lirica “Tomorrow, In A Year”, insieme ai degni compari Mt. Sims e Planningtorock.
Proprio quest’ultimo personaggio, l’androgina videoartista e musicista inglese che più volte ha incrociato la propria carriera con quella dei fratelli Dreijer, sembrerebbe proporre un confronto più concettuale che di pura sostanza sonora; dal lancio dell’ultimo album, “W”, la cantante inglese di base a berlino associa costantemente al proprio lavoro tematiche quali il gender bender, il femminismo, il rifiuto di ruoli prestabiliti dalla società , proponendo un dibattito tramite la propria musica e un immaginario fatto di maschere e di negazione della dinamiche della realtà a cui siamo abituati. Non che tutto ciò rappresenti una novità per i Knife, che della maschera e del surreale difficilmente hanno fatto a meno per tutta la loro carriera fino ad oggi, così come dell’aperta espressione di un malcontento politico, tuttavia sempre in maniera piuttosto criptica e fiabesca. In “Shaking The Habitual”, sin dal titolo una dichiarazione d’intenti, le cose si fanno concrete, e la maschera indossata dai fratelli Dreijer, come accade nel video del primo singolo “Full of Fire”, non è più quella di personaggi misteriosi o sciamanici, ma di normali cittadini svedesi del 2013, in una comunità stantia e senza sviluppo che il duo mette finalmente a ferro e fuoco (“…che poi, lamentarsi della Svezia. vabè).
L’aggancio musicale al concept proposto è calzante più che mai, a partire dalla notevole durata dei brani; esemplare, in questo caso, i 19 minuti di “Old Dreams Waiting To Be Realized”, drone-ambient che spezza considerevolmente la tensione creata nel doppio album; “It’s nice to play with people’s time these days”, così si è espressa Karin in merito alla traccia in un’intervista recente, affermazione che ben si sposa anche con la più corta ma non meno impegnativa “Fracking Fluid Injection”, costruita su vocalizzi filtrati e che insieme alla già citata “Old Dreams” rappresentano gli zoccoli duri del lotto, quelli che potrebbero mettere in crisi anche il più accanito dei fan; due pezzi molto buoni, per carità , e concettualmente idonei alla causa, ma che peccano di una pesantezza artistoide che necessita di tanta pazienza e buona volontà per essere apprezzata.
D’altro canto, seppur in forma molto ridotta rispetto ai precedenti album, c’è ancora spazio per la melodia, come accade nelle etnicheggianti “A Tooth For An Eye” e “Without You My Life Would Be Boring”, la prima già singolo e la seconda papabile prossimo estratto. Più interesse viene invece dato alle cavalcate sintetiche, come peraltro anticipato dal primo singolo estratto, la maestosa e malata scarica electro “Full of Fire”; non troppo distanti da essa la più minimale e pungente “Networking” e l’ottima “Stay Out Here”, riuscitissimo duetto con Sharon Funchess dei Light Asylum tra house anni 90 e urla disumane. Vero apice e capolavoro è invece “A Cherry on Top”, capace di partire dark ambient, evolversi in una messa pagana e commuovere grazie al canto filtrato della Andersson.
“Shaking The Habitual” non sarà apprezzato da tutti e non sarà capito da tutti; non è accessibile come “Deep Cuts” e non è immediato come “Silent Shout”, è un disco che ha bisogno di essere ascoltato più e più volte per essere assorbito completamente. è impossibile negare che un po’ manchi quel gusto pop, pieno di disagio e oscurità ma squisitamente pop che si respirava nei precedenti lavori. Tuttavia, per i suoi suoni, per gli argomenti trattati, per come vengono affrontati e per le emozioni trasmesse “Shaking The Habitual” rappresenta, ad oggi, il disco per cui i Knife dovrebbero essere ricordati nella storia della musica.