è un cantastorie del nostro tempo. Un maestro di “penna”, sicuramente, un incantatore della nostra generazione. Andrea Appino, frontman e voce degli Zen Circus, esordisce da solista con l’album studio “Il Testamento”: 14 brani, o meglio 14 storie, che confermano la sua personalità , già abbondantemente emersa con la band toscana. Raggiungere i livelli dei pezzi migliori degli Zen Circus è praticamente impossibile, ciò nonostante l’album si allinea al suo lavoro precedente ““ senza superarlo ““ e risponderà alle aspettative dei fan.
“Il Testamento” mette a nudo aneddoti autobiografici, pezzi di storie di famiglia, confessioni e malumori, amori mal accolti, analisi taglienti della nostra società . Si parla di frustrazioni e di morte, di genitori e di sesso, di ego, paure e introspezione. Il taglio dei testi è come potevamo aspettarci: senza peli sulla lingua, disincantato, cinico, realista e poetico allo stesso tempo. L’occhio sul mondo è tagliente, anti-morale e anti-buonista.
L’album si apre con il brano omonimo, un testamento degno di affiancare quello di De Andrè, introdotto da un violino malinconico e solenne: Ho dieci strofe per lasciare un bel ricordo…. è un bilancio di vita, una dedica in rima al grande regista Monicelli e al suo suicidio, una riflessione sull’importanza della scelta.
Tra le chicche, “Fiume Padre” e il suo incipit: Sai la noia in fondo cos’è, è la certezza che tutto andrà a rotoli”…; la super orecchiabile “La festa della liberazione”, ballata folk con chitarra acustica e armonica, eredità di Bob Dylan, destinata a diventare il tormentone che non esce di testa; il tono cupo e intenso, quasi profetico di “Tre Ponti”; il pop di “Godi (Adesso che puoi)” e i suoi momenti di silenzio, che per un attimo riescono a lasciarci nel pieno della suspance, con il fiato sospeso, per poi riprendere l’arpeggio di chitarra come se niente fosse.
Musicalmente, prevale la chitarra che fa da sfondo a una prosa senza fronzoli, inframezzata però da giochi di stile e mix di generi. Ci sono i ritornelli dal ritmo elettronico e deciso (“Lo specchio dell’anima”, “Solo gli stronzi muoiono”), qualche momento corale e ipnotico (“Che il lupo cattivo vegli su di te”, primo singolo estratto dell’album), parentesi veloci dalla voce in stile hard core (“Schizofrenia”), incursioni sacrali dell’organo, che lasciano immediatamente il posto all’indie pop melodico (“Passaporto”). Si chiude con “1983”, fotografia impietosa di uno spaccato di vita, dal finale quasi dance.
Nel disco troviamo “lo zampino” di Giulio Favero (de Il Teatro degli Orrori, va a lui il merito della produzione e registrazione dell’album), le chitarre di Enzo Moretto (A Toys Orchestra), la batteria di Franz Valente (Il Teatro degli Orrori), il violino di Rodrigo D’Erasmo (Afterhours), le incursioni di Marina Rei e Tommaso Novi (i Gatti Mèzzi, gruppo jazz pisano).
2. Che il lupo cattivo vegli su di te
3. Passaporto
4. Lo Specchio dell’anima
5. Fuoco!
6. La festa della liberazione
7. Questione d’orario
8. Fiume padre
9. Solo gli stronzi muoiono
10. I giorni della merla
11. Tre ponti
12. Godi (adesso che puoi)
13. Schizofrenia
14. 1983