No, non ero in California, ma sulla mia sedia di legno rossa, a casa, con il pacchetto di sigarette e una birra sul tavolo. Davanti il computer, aperto sulla pagina Youtube del Coachella Festival che trasmetterà tutta la rassegna in diretta streaming.
Pur essendo nato quando gli Smiths si erano già sciolti da due anni, nutro per loro un amore smodato. Perciò, quando sulla Home di Facebook è comparso l’avviso di Pitchfork, che segnalava appunto il link al web cast con tanto di time set e possibilità di godermi in pseudolive un quarto di quel gruppo ordinariamente immenso, non ci sono stati cazzi.
Ed ecco salire sul palco Johnny Marr, un’istituzione della musica anche solo per il fatto di aver tirato fuori quegli arpeggi di “Heaven Knows I’m Miserable Now”. Ne ha tirati fuori altri, eccome, con gli Smiths, per poi non fermarsi e intraprendere una carriera di special guest e turnista un po’ in giro per il rock europeo.
Sale sul palco, dicevamo, con un improbabile smalto argentato alle mani e con le ascelle già pezzate ma con l’ultimo bottone della camicia rigorosamente sigillato fino alla fine.
Apertura riservata alla prima traccia del fresco esordio solista “The Messenger”, ossia a “The Right Thing Right”. Sound impeccabile sin dall’inizio, brit pop-rock jinglegiante che ti fa pensare che quello di Johnny può effettivamente essere considerato come l’ultimo disco della band di Manchester. E proprio quando finisci di pensar questo, ecco che arriva il primo tuffo carpiato al cuore: “Stop Me If You Think That You’ve Heard This One Before”. Sebbene non ci sia bisogno di dire che la voce di Marr non è quella del Moz (del resto, parere personale, NESSUNA voce è paragonabile a quella del Moz per intonazione, intensità e umanità tutt’insieme – ma di questo magari ci sarà occasione di parlare in altra sede), è comunque una voce che sta più che egregiamente sul repertorio del quartetto mancuniano. Del resto, la sua ugola è esattamente quella che si ascolta nei back vocals di tantissimi brani degli Smiths, e la lacrimuccia è sempre lì in agguato pronta a bagnare la tastiera.
Dico repertorio perchè Johnny, in un set tutto sommato breve per esigenze di programma (neanche un’ora scarsa) ma tirato ed impeccabilmente eseguito, in cui fanno bella mostra alcuni pezzi di “The Messenger” (su tutti “Generate! Generate!”), suona e canta altre due perle di un passato che purtroppo, come tale, sembra essere passato e basta. Prima “There Is A Light That Never Goes Out” e poi soprattutto, in chiusura, con assolo struggentemente muscolare, “How Soon Is Now”: la perfetta canzone sul disperato need to be loved, la perfetta canzone di longing and desire. Un po’ come quello, di desire, che abbiamo penso un po’ tutti (soprattutto chi è nato dopo l’87): vedere il passato di cui sopra tornare presente.
Per il momento, il sottoscritto si è accontentato di fare un balzo non appena ha captato le prime care vecchie slideguitarate di quel capolavoro, cuffie in testa, e ha cantato come un deficiente ogni singolo mugugno rischiando lo sfratto per rumori molesti alle due del mattino.
Ma per Johnny e gli Smiths questo e altro.
Setlist:
THE RIGHT THING RIGHT
STOP ME IF YOU THINK YOU’VE HEARD THIS ONE BEFORE (The Smiths song)
UPSTARTS
SUN AND MOON
THERE IS A LIGHT THAT NEVER GOES OUT (The Smiths song)
THE MESSENGER
GENERATE! GENERATE!
NEW TOWN VELOCITY
WORD STARTS ATTACK
HOW SOON IS NOW? (The Smiths song)