L’ultima volta che mi ricordo di aver sentito i Cold War Kids da qualche parte, risale a un po’ di anni fa: una Leighton Meester infilava del sushi nella bocca del davvero poco vivo Nate Archibald e c’era Gossip Girl che iniziava e c’era “Hang me out to dry” in sottofondo.
Dopo il lavoro del 2011 (che, per dire, ho recuperato solo ora), tornano quest’anno con un nuovo album e tutte le recensioni che sono uscite scrivono solo di una cosa: ma perchè i Cold War Kids fanno sempre lavori piacevoli ma alla fine non se ne parla mai?
Fanno i compiti a casa, ma non ricevono nessuna stellina di merito, non risplendono mai davvero.
In “Versioni di me” di Dana Spiotta, Denise ““ la voce narrante ““ si dice che forse la collezione di album più crudele da realizzare non conterrebbe chi ha brillato intensamente per qualche minuto per poi spegnersi per sempre nell’indifferenza generale, i.e. le meteore, le next big thing che abbiamo imparato a tollerare sulle copertine, piuttosto chi per tutta la vita c’ha provato, ma non ha mai sfondato ““ un censimento di chi ha fatto qualunque cosa, ma non è mai arrivato al traguardo, la carne da cannone dei discografici.
I Cold War Kids non rientrano neanche in queste due classificazioni e non hanno venduto la dignità per una prima pagina che non è mai arrivata, anche se hanno perso molto del loro carattere che caratterizzava i primi (e di maggior valore) lavori. Tuttavia è interessante, credo, leggere il loro percorso alla luce di queste due possibilità ““ non abbiamo visto i loro video ovunque, difficilmente ci siamo scoperti canticchiare un loro ritornello: non hanno la noia delle canzoni facili e fastidiose, non hanno la qualità del gruppo che nessuno ascolta ma che tutti dovrebbero ascoltare. Ma hanno tutte le caratteristiche e facilità per piacere, la non pericolosità della mancata innovazione. E quindi perchè un gruppo come gli Alt-J sì e loro no? Perchè i Mumford and sons vendono e i Cold War Kids sono al quarto disco e negli anni di assenza sono stati semplicemente obliati?
Alla fine, pur nelle distanze musicali tra i vari che ho citato, io di differenze ne vedo proprio poche, eppure: “Matilda” per qualche secondo ci ha illuso che l’isteria minima per gli Alt-J non fosse un altro esempio di hipsteria con scadenza bimestrale, di “Dear Miss Lonelyhearts” forse non sentiremo parlare davvero ““ e non saprei davvero dire perchè. Cattiva promozione? Nessuno che creda davvero in loro? Saturno contro?
Praticamente un mix tra Clap your hands say yeah e “Hot Fuss” dei Killers (quando ancora avevano qualcosa da dire e Brandon Flowers non ci sembrava così poca cosa), “Dear Miss Lonelyhearts” ha 10 piacevoli tracce che faranno la felicità dei pubblicitari senza originalità (ascoltate “Miracle Mile”, la vedo già perfetta per macchine da giovani pagate con rate a tasso fisso). Un buon lavoro che suona come vecchio di qualche anno, ma che forse proprio per questo sarebbe potuto diventare quel successo stagionale che invece non è (gli Alt-J hanno vinto perchè fanno i compitini senza innovare molto, ma con tutti i crismi e la disinvoltura che ne giustificano ““ almeno in parte, poi no ““ il successo anche tra chi prima ascoltava solo Ligabue ma oggi se ne vergogna).
Nessuna Luna in opposizione, nessuna congiuntura negativa – la risposta arriva direttamente da loro, I was supposed to do great things/I’d know the rule’s law/But I wasn’t raised to shoot for fame (“Miracle mile”).
Credit Foto: Rodrigo Villordo