Vi aspettate un disco folk tradizionale, un cantautorato dalle radici americane country? La prima traccia vi spiazzerà . Il disco parte con un’invocazione spiritual, forse un canto propiziatorio? “Sun, Arise! (An Invocation, An Introduction)” è evocativa e corale, infonde pace e ci porta a paesaggi lontani, se non fosse per le leggere contaminazioni elettroniche di sottofondo. L’inizio colpisce per originalità , capiamo subito che siamo di fronte a tutto fuorchè il solito indie-folk cantautoriale. Ne abbiamo la totale conferma a partire dalla seconda traccia, “Song For Zula”, pezzo ipnotico, che mixa percussioni elettroniche che sembrano un battito di cuore agli archi di sottofondo fautori di un’atmosfera surreale. Il tutto condito dalla voce di Matthew Houck in primo piano, dal timbro particolare, che ben si adatta alle sperimentazioni.
Originario del profondo Sud americano (Alabama), Houck è la mente che sta dietro a Phosphorescent, band che giunge con questo disco al sesto lavoro in studio. L’ultima loro fatica risale a tre anni fa e si trattava di un disco solare e ottimista: “Here’s To Taking It Easy”, preceduto a sua volta da un album di cover di Willie Nelson (“To Willie”) del 2009 e nel 2007 dal minimalista “Pride”.
Ora la “solfa” cambia un pochino. La band svolta per strade non ancora battute e più sperimentali, lasciandosi andare a contaminazioni di diverso tipo, elettronica in primis, giocando con una varietà di effetti e strumenti che spaziano dai fiati agli archi, dalle percussioni alla steel guitar. Il cambio di rotta li porta peraltro dall’Alabama in Messico. Da qui il titolo, “Muchacho”, omaggio allo Yucatan e rimando a “Muchacho’s Tune”, uno dei brani dell’album, melodico e nostalgico.
Il disco alterna i momenti di rock più classico di “Ride On/Right On” alle parentesi romantiche, come quella di “Terror in The Canyons” in cui voce, chitarra country, violini e pianoforte si intrecciano in un crescendo emotivo.
Una stessa canzone può mescolare momenti introspettivi e dal canto corale a ritornelli farciti con ottimismo da “sole in fronte”(“Charm/A Blade”).
Nella parte finale del disco troviamo una serie di ballate in cui emergono, uno dopo l’altro, pianoforte, acustica, lap steel e voce… talvolta strappalacrime (“A New Anhedonia”), talvolta sostenuta dal ritmo e sull’energia degli archi (“The Quotidian Beasts”), talvolta accompagnata dalle solenni melodie di sottofondo degli ottoni (“Down To Go”).
E per finire… no, l’album non è ripartito accidentalmente come si può pensare a un primo ascolto distratto. Il cerchio si chiude, torna quel non so che di mistico che aveva fatto da incipit e la finale “Sun’s Arising” riprende specularmente la prima traccia “Sun, Arise!”.
Una fine corale… per un disco sicuramente di una qualità ricercata e “fuori dal coro”.