Brandon Cox (ma vado per intuizione) deve essere una di quelle persone che passano da un dipendenza all’altra, uno di quelli che iniziano e continuano un numero imprecisato di collezioni, con una intensità  e un’attitudine maniacale ai dettagli. Salvo poi gettare tutto via e ricominciare da capo: il piccolo museo di casa Cox, un armadio pieno di vestiti che sembrano costumi, personalità  e personaggi intercambiabili nel corso della giornata. Da A a Z passando per tutte le altre lettere, ma rimanendo sempre riconoscibile. Nel 2010 c’era “Halcyon Digest”, nel 2011 c’era “Parallax” come Atlas Sound, oggi abbiamo un ragazzo troppo alto e troppo magro (clinicamente si chiama sindrome di Marfan) che si presenta al Late Night with Jimmy Fallon come Connie Lungpin, con tanto di dita (aracnodattili) medicate, un tributo incomprensibile all’infortunio del padre di qualche tempo prima. Oggi abbiamo un ragazzo che si fissa con la luce al neon, tanto da fare un intero album che sembra suonato mentre tonnellate di luci al neon e di insegne si accendono e si spengono seguendo il ritmo delle canzoni. Mono-monomania, monomania (ripetere x3)

In un’intervista del 2009, riportata di recente da Stereogum, Cox dice che per lui non c’è una vera differenza tra quanto pubblicato ufficialmente e il materiale abbozzato, ‘the blog stuff’ dice lui, e che certe cose sono addirittura meglio di quello che finisce sui dischi. E di altre dice I wouldn’t even remember. I just put stuff up so fast.
La manie sono un po’ così, consumano un sacco di energia senza motivo, sono a perdere, hanno bisogno di edificare palazzi temporanei, tirati su in fretta e precari, lasciati subito al loro destino ““ la mania musicale del prolifico Cox sembra proprio questo, la necessità  di scrivere, comporre, incidere, anche se si dovesse abbandonare tutto domani. C’è un’ansia divorativa: dentro “Monomania” c’è un po’ di tutto, si lanciano riferimenti dai Sonic Youth agli Slowdive ai Ramones ““ fate un nome e se volete riuscite a sentircelo.

Più americano, più garage e sporco di altri suoi lavori (“Parallax”, ma non solo), “Monomania” parte con “Neon Junkyard”, tanto per sottolineare la recente passione per le insegne luminose e per questa sorta di garage rock da off licence aperti di notte. E se “The missing” potevamo ritrovarla su “Halcyon Digest”, “Pensacola” va a pescare anche dal country rock e Cox è un altissimo e magrissimo figlio di Dylan e di Beck che produce una traccia praticamente perfetta. Dodici belle tracce con una title track che rimane in testa, ancora e ancora.

Un disco di chi ha assorbito tutto, dell’entusiasmo e dell’amore sincero per la musica (americana, siamo proprio là ) e che lo ripropone in una formula personalissima e ineccepibile. Non so se sarà  uno dei dischi del 2013, ma certamente è un “Monomania” è un gran bel disco che penso ascolteremo volentieri anche quando il 2013 sarà  solo un ricordo.

E non ho mai usato la parola retromania, e non l’ho neanche pensata. La rielaborazione, la velocità  di una composizione che spreca energie perchè può ancora farlo, l’amore monomaniacale e ineconomico è quello che ci consegnano questi anni. E va benissimo così.

Credit Foto: Ryan Stang