I Sixthminor sono un duo (Renato Longobardi e Andrea Gallo) nato in un inverno napoletano di qualche anno fa. La loro è musica elettronica ma non solo visto che, pur avendo solide radici noise e post rock, ama contaminarsi con il dubstep e non disdegna echi ambient e industrial. Potremmo chiamarla elettronica intelligente, se il termine non fosse già così abusato.
“Wireframe” è il loro primo disco, un lavoro dalle atmosfere minimaliste, cristalline, cangianti, basato su ritmi matematici incalzanti (“Eser”) e precise geometrie sonore (“Hexagone”). Il classico album da sentire stando seduti oltre che da ballare, che viene voglia di ascoltare durante un lungo viaggio in treno o in macchina mentre paesaggi conosciuti e sconosciuti scorrono fuori dal finestrino. Non è musica da sottofondo o da ascensore, sia ben chiaro: queste sono note ben felici di accompagnarti nei tuoi spostamenti quotidiani, tenendoti concentrato, sveglio e vigile tutto il tempo con cambi di direzione repentini e improvvisi (l’energia di “Blackwood” che scivola bruscamente nella tranquillità quasi silenziosa di “Frozen” ad esempio, ma lo stesso discorso può essere fatto per “Etif” e “Last Day On Earth”). Note che possono intimidire, suonare inquietanti oppure semplicemente svuotarti la testa e salvarti dal rumore incessante del traffico cittadino. Dischi come questo non esisterebbero se prima non ci fossero stati i Neu!, i Cluster, i Kraftwerk di “Autobahn”, le incursioni noise-industrial da brivido di gruppi come gli Einstuerzende Neubauten, il cuore che tiene battiti regolari dei Tortoise, le moderne pazzie dei 65daysofstatic e l’intensità degli Explosion In The Sky. Esistono, ed è un bene.
Le otto tracce di “Wireframe” sono un meccanismo ben congeniato, accuratamente rifinito, un’equazione risolta senza fatica, un Sudoku che riesce senza bisogno di cancellature e molteplici tentativi. Ecco, magari non particolarmente originale se proprio vogliamo trovargli un piccolo difetto. Ma d’altronde nessuno cerca l’originalità giocando a Sudoku o a Ruzzle (anzi gli imprevisti rendono le cose molto più difficili). E quindi il piccolo difetto diventa niente più che un classico e trascurabilissimo pelo nell’uovo, perchè alla fine resta il piacere di perdersi nell’ascolto di canzoni come “Greyhues”. E i conti puntualmente tornano.