Il quartetto di Ravenna si è defolkizzato non poco rispetto alla precedente opera denominata “Lovespoon”, la quale ottenne un feedback niente male nella scena indie italiana (in lingua inglese, per fortuna).
Ora è il momento di dare più spazio al rock delle origini e,d opo essere passati attraverso quasi tutte le sue sfumature passate e recenti, superarlo.
I paragoni si sprecano: sin dall’intro e dalla first track c’è aria di Neil Young (“Mary comes” ricorda “Hey hey, My my”), Velvet Underground e Who per la successiva “Anyway”, svogliatezza alla Libertines in “My love”, chitarre languidamente monotone (senza accezioni negative) in perfetto stile Oasis in “Maryonettes””… spunta un’armonica a metà disco per il piglio un po’ alla U2 di “Like an Eleonor”, velocità Razorlightlike alla base di “I can live anyhow”, un mix di Animals e The National per “Butterfly””… un assolo ipnotico tendente al cullante un po’ Girls in “Sleeping on a bench” (titolo inevitabile), un’inattesa chitarra acustica (finalmente) che ricorda i primi Shins in “Bianca””… mentre la canzone che dà il nome all’album è un capolavoro in più momenti, dagli Emerson, Lake and Palmer verso un delirio finale quasi prog alla King Crimson, passando per i Led Zeppelin più tranquilli, e infine “Another pale moon” che con una ring composition e strizzando liricamente l’occhio ai Beatles di “Love me do” ci mostra cosa succederebbe se i Pearl Jam e i Counting Crows si unissero una band sola.
L’anima dei Lovespoon è tutt’altro che cariata, e lo si sente già dal primo ascolto: un’idea chiara, pulita, rock, completa, concettualmente inopinabile. Una filosofia che non lascia spazio a “forse”: o sei dei nostri o non lo sei. Il fatto che ci sia musica del genere nel nostro paese ci riempie d’orgoglio, ma non ci può lasciare completamente soddisfatti. Bisogna andare oltre, per evitare il *fossilismo. Lo so che non esiste questa parola, ma mi piace, perchè rende bene la connotazione che bisogna inevitabilmente dare a musica del genere, forte live, debole in cuffia. Il passato non bussa alle porte italiane, al massimo ti offre la cena e ti tira una pedata nel didietro”… bisogna conquistare il mondo, diamine!