Retromane non lo sono particolarmente mai stato. Così come non ho mai visto troppo di cattivo occhio i nostalgici della musica. è tuttavia inevitabile che avvicinandosi all’ascolto di “Slow Summits”, disco che segna il ritorno degli scozzesi Pastels, chiunque di noi un pizzico ‘retromaniaco’ lo diventi. Non ne andrebbe fatto mistero, così come non sarebbe da vergognarsene. è un semplice dato di fatto che un determinato tipo di musica, e soprattutto di gruppo (ce ne sono stati e sempre ce ne saranno), finisce col renderci dei piagnucoloni nostalgici di tempi, luoghi e momenti persi nel tempo.
“Slow Summits” arriva a 16 anni di distanza da “Illumination” difatti l’ultimo, se non si conta la soundtrack per l’omonimo film “The Last Great Wilderness” (2003), effettivo, lavoro in studio del gruppo, se vogliamo duo, scozzese, cui unici componenti stabili oggi rispondono ai nomi di Katrina Mitchell e Stephen McRobbie.
Ma cosa dei Pastels finisce per accendere in noi la fiamma retromaniaca? Sarà forse il rumoroso silenzio che li ha avvolti da quindici anni a questa parte? O forse l’etichetta di autentico gruppo Indie attribuitagli (e che gli rimane appiccicata anche a trent’anni di carriera suonati)? Tra i due quesiti si potrebbe optare più per il secondo. Il duo scozzese difatti rappresenta oggigiorno il vero esemplare di band old-school silenziosa, ingenua, poco ruffiana e intenta nel fare, nei tempi e nei modi che ritiene più adatti, esattamente ciò che gli riesce meglio. In un unica parola, indipendenza. Ed ecco quindi che in “Slow Summits” non manca proprio nulla di ciò che qualsiasi fan di vecchia, o meno vecchia, data si sarebbe aspettato. Non mancano la spigolosità delle voci allo stesso tempo melodiche e sgraziate (soprattutto quella del caro McRobbie), le atmosfere jazzy (“Summer Rain”), i jingle frizzanti (vedi il singolo “Check My Heart”), i fuligginosi valzer (“Come To The Dance”), i riferimenti ‘elettrici’ al maestro Bacharach (“Slow Summit”) e le pacatissime atmosfere trasognanti (“Secret Music”, “Kicking Leaves”) che finiscono per rendere il suono della band di Glasgow compatto e inconfondibile, quindi iper-godibile.
“Slow Summits” finisce per diventare uno di quegli album che riesce a farti sentire al sicuro, proprio come quando, di ritorno da un lungo viaggio, cominci a riassaporare il sapore delle quattro vecchie mura di casa, calorose e confortevoli.
Ecco quindi spiegato il motivo di tanta nostalgia.