Una voce sempre gradevole, melodie pop azzeccate come nel precedente my maudin carrer di già quattro anni fa. Il tempo trascorso ha reso maturo tutto ““ pur con vicissitudini personali dei membri abbastanza difficili – di conseguenza ogni brano non rischia più di sortire l’effetto “già sentito” come spesso accadeva ai primi lavori della band scozzese.
A guidare la barca l’onnipresente Tracyanne Campbell, ormai il fulcro dell’elaborazione non solo testuale, visto le accreditate capacità tecniche alla chitarra. La formazione rimane quella vincente del disco precedente con il veterano Gavin Dunbar concentrato sulle linee di ritmica e basso, insieme a Lee Thompson alla batteria. Elementi oramai indispensabili per il sound dei Camera Obscura sono Mackeeve alle seconde corde ritmiche, Lander al piano e Baillie alla tromba e dopo svariati cambi di line up avvenuti nel decennio si direbbe trovata una formula adatta, un ensemble funzionante.
Campbell, soprattutto lei, sembra schiettamente stilizzata, capace oramai di superare ansie e paure, peregrinazioni intimiste e facili costumi indie. Quando in passato la voce narrante, anche in momenti gloriosi come in let’s get out of this country, poteva apparire leziosa, frenetica e poco lucida, oggi assume una fase di sviluppo espressivo notevole. Cri du coeur assomma tutti i gradi di pienezza raggiunti. Anche Dunbar che non verrà mai ricordato per il suo estro, esprime, in questo desire lines, una giusta raffinatezza sorretta da un lavoro collettivo pieno di passione. Ritornando sulle andature country di “Fifth in line to the throne”, mi è venuta in mente la sobrietà dei Decemberists, l’umiltà decadente, il sospiro di posti in retrovia o per l’appunto a lato di ogni strada percorsa.
Ritornando sulle psicosi dell’anima di una “I missed your part”y, si vaneggiano scenari motown, scenari americani, una bestemmia per degli scozzesi, che giungono con glorie ed approvazione piena alle mie orecchie, come alla mia spina dorsale. Inutile dire che maturità , per i Camera obscura, vuole dire togliere il kilt adolescenziale e vestire un jeans vagamente occidentalizzato. Ma precisarlo vorrebbe dire ripetersi, o ripetere una ovvietà , basta sentire una volatile “Break It To You Gently” per scongiurare un ritorno al passato. La macchina oramai è piena di benzina, prontissima a scattare in avanti.