Mentirei se dicessi di aver apprezzato del tutto (o meglio di aver fatto mio del tutto) “Trouble Will Find Me”, l’ultimo album dei National. Voglio dire, si tratta di un disco superbo e dalla classe infinita, su questo non v’è dubbio alcuno neanche lontanamente, ma per il momento (almeno per il sottoscritto) ancora troppo malinconico e desolato (e desolante) pur dopo innumerevoli ascolti. I National però sono la tipica band che ti coglie alla sprovvista, che ti lavora ai fianchi fino a farti inesorabilmente cadere e io, lo so, non sarò risparmiato (per fortuna, aggiungerei). (Ok, mi sono tolto il dente.)

Nutrivo tuttavia grandissime aspettative dal loro live, ben sapendo che in concerto Berninger e soci sono una macchina da guerra attrezzata per convincere alla resa anche il più tenace dei baluardi alla resistenza. E indovinate un po’? I National dal vivo sono dei mostri, probabilmente insieme ai Wilco e agli Arcade Fire la più grande, la più brava e coinvolgente band dal vivo che oggi si abbia la fortuna di poter ammirare. Riescono a fondere un rock tutto sommato anacronistico, non alla moda insomma (qualcuno sicuramente non sarà  d’accordo ma per me è così) come appunto quello dei Wilco (pur ovviamente con le opportune differenze: con i Wilco siamo in territori più prettamente trad-rock, mentre i newyorkesi attingono più ad una sorta di New Wave cantautorale) con l’epica della cricca ButlerChassagne. Quella dei National (soprattutto dei National di “Trouble Will Find Me”) è però un’epica più sottotraccia, più subdola, meno sfacciata e che si mette al servizio di storie (spesso strappalacrime) della vita di tutti i giorni o di una vita intera e basta (penso ad esempio a “I Should Live In Salt”, “Sea of Love”, “Heavenfaced”).
Si respira un’aria di esperienza, di spontaneità , di sapienza musicale e soprattutto di cuore infranto e sgorgante poesia dal primo all’ultimo istante di una performance di quelle alle quali raramente ho avuto il privilegio di assistere.

Dal primo istante, ossia dagli accordi carezzevoli con cui si apre “I Should Live In Salt”. Un Berninger intonatissimo, i suoi scudieri precisi come un meccanismo svizzero, i primi brividi sulla pelle di chiunque non sia un rettile in platea. Brividi che per la verità  proseguono per le successive due ore, nel solco dei flussi di coscienza di un Matt che tra un pezzo e l’altro riempie e svuota ripetutamente il suo calice di vino e cammina nervosamente su e giu per il palco. La setlist è costruita in modo tale da porre l’ascoltatore sul seggiolino di un’altalena che cambia velocità  a seconda dell’andamento dei brani, facendolo ora oscillare con una certa veemenza (“Abel”, una “Squalor Victoria” e una “Graceless” dai finali poderosissimi, una “Mr. November” cantata fino a lacerarsi le corde vocali da tutta la platea e ovviamente anche da Berninger) ora prendere fiato (“Demons”, “I Need My Girl”, “This Is The The Time”, la poesia di “About Today”, giusto per dirne alcune). Che poi di prendere fiato non si tratta, perchè versi come I don’t need any help to be breakable, believe me o come quel You said it would be painless, a needle in the dark / You said it would be painless, it wasn’t that at all (da “Pink Rabbits”, ma potrei andare avanti a riportarne il testo nella sua interezza, tanto è un ricettacolo inesauribile di citazioni da tatuaggi) il fiato te lo spezzano. L’epica in sordina di cui parlavo prima rende invece “Sea of Love” uno dei brani più partecipati, con quel memorabile Hey Joe, sorry I hurt you but they say love is a virtue, don’t they? che come tatuaggio pure mica ci starebbe male, e “Humiliation” semplicemente uno dei più riusciti. I fiati poi son lì apposta per farti tirar fuori il fazzoletto sul finale accoratissimo di “This is the time” e per far muovere leggermente il bacino su “Fake Empire”. Davvero, non c’è nulla fuori posto, trattasi del concerto perfetto (nota di merito, a proposito, ai tecnici del suono – fuoriclasse anche loro, finalmente un live realizzato per essere goduto e seguito senza l’ansia di immaginarsi note mancanti o sacrificate da volumi sballati).

Dopo il ventesimo bicchiere di rosso, il frontman (ma nessuno ci vede una somiglianza con Russel Crowe?) decide che è abbastanza in palla per mettere definitivamente in subbuglio l’Ippodromo: canta “Mr. November” in mezzo alla gente assiepata alla destra del palco (riguadagnerà  lo stage con l’aiuto del pubblico stesso che lo solleverà  in trionfo) e non pago, subito dopo, una “Terrible Love” ai confini dell’urlo più accorato che io sia mai riuscito a partorire, tra i fan stavolta alla sinistra del palco. Sarebbe una conclusione già  perfetta, ma i Nostri regalano un’ultima chicca: “Vanderlyle Crybaby Geeks” suonata in acustico con tanto di fiati.

Dire che i National sono una band in stato di grazia da ormai molti anni suonerà  certamente scontato, eppure non trovo un’espressione più adatta. è una band in stato di grazia e prodiga di grazie verso il pubblico: non si risparmia, suona con testa e cuore, culla e scuote, canta la vita e tutte le difficoltà , tutti i traumi che essa porta in dote, eppure senza abbandonassi al nichilismo ma sussurrando e urlando (ecco perchè li preferisco dal vivo, dimensione in cui i pezzi si vestono di tenue ruggine e si rendono più – passatemi il termine – tridimensionali, più rudi) rabbie e speranze, in uno show che lungi dal ridursi a puro intrattenimento assume le sembianze di una catarsi in quanto tale dolorosa ma liberante. In breve, rende la vita più bella. Non è fatta per questo la musica? Non dovrebbe lasciar questo in eredità  un concerto?

In “Don’t Swallow The Cup”, Matt Berninger canta che se lo si vuole veder piangere basta suonargli “Let It Be” o “Nevermind”; se volete far commuovere me, cantatemi “Pink Rabbits”.

Setlist
I SHOULD LIVE IN SALT
DON’T SWALLOW THE CUP
BLOODBUZZ OHIO
SECRET MEETING
SEA OF LOVE
DEMONS
AFRAID OF EVERYONE
CONVERSATION 16
SQUALOR VICTORIA
I NEED MY GIRL
THIS IS THE LAST TIME
ALL THE WINE
ABEL
APARTMENT STORY
PINK RABBITS
ENGLAND
GRACELESS
ABOUT TODAY
FAKE EMPIRE

Encore:
RUNAWAY
HUMILIATION
MR. NOVEMBER
TERRIBLE LOVE
VANDERLYLE CRYBABY GEEKS (ACOUSTIC)

Le Foto Della Serata scattate da Antonella Iacobellis:

Photo: Raph_PH [CC BY 2.0], via Wikimedia Commons