“Watch the Throne” rischiava di figurare come il punto più alto della scalata egomaniaca di due personaggi notoriamente poco attratti dalla sobrietà . Una copertina tutta dorata, come se il titolo non fosse abbastanza eloquente di suo. I due erano Jay-Z e Kanye West: il meglio del meglio dell’hip-hop mondiale sgusciato fuori dal ghetto. A loro certa tracotanza è sempre stata perdonata, pedissequamente, specie quando il livello della musica si è rivelato alto, tanto alto.

L’uscita di “Magna Carta Holy Grail” ““ a distanza di un mese da quella di “Yeezus” di West ““ non poteva non essere accompagnata da un sacco di fumo. Innanzitutto l’accordo con la Samsung, che ha comprato in anteprima un milione di copie digitali del disco e le ha messe a disposizione dei suoi clienti: un affare che s’addice alle note capacità  imprenditoriali di Jay-Z. E poi l’audace colpo di marketing con l’album e la Magna Carta ““ il documento, quello vero ““ nella cattedrale di Salisbury, in Inghilterra, esposti fianco a fianco per tutto il mese di luglio. Così, tanto per non farsi mancare nulla. D’altronde l’hip-hop, dall’età  d’oro del gangsta a oggi, non ha mai nascosto la sua attrazione per quella prosopopea à  la Tony Montana come aberrazione “criminale”.

Jay-Z s’era fatto incoronare re della East-Coast nel periodo in cui non si sentiva già  più la mancanza delle pistole per anelarlo. Il suo flow non lo batte nessuno da che Biggie se n’è andato, dicevano. Da allora sono passati quindici anni, più o meno, e nel frattempo la musica dei neri incazzati ha dimostrato di sapersi tirare fuori dal ghetto e arricchirsi di un linguaggio pop dalla più vasta portata, in grado di mischiare le tendenze, di fonderle insieme (l’elettronica europea dell’opinabile “Yeezus” ne è la conferma). L’hip-hop che cede al dogmatismo della gentrification, in un certo senso. Jay-Z è riuscito a tirare fuori dal suo flow arrogante la formula per un successo comprovato da milioni e milioni di copie vendute in tutto il mondo, in grado di garantire colore al culto di se stesso che tanto tiene a cuore.

Ma il successo va coccolato. Per farlo, è lecito abbondare. è così Jay-Z si circonda di ospiti di lusso: Justin Timberlake nella riuscita “Holy Grail” (con tanto di citazione ai Nirvana di “Smells Like Teen Spirit”), Rick Ross, Frank Ocean, la sua Beyoncè. Il risultato è un disco che gode dei bei momenti pop, del consolidato flow cafone di Jay-Z, di certi beat quadrati (su tutti, quello di “FuckWithMeYouKnowIGotIt”). Un disco hip-hop, per definizione, in grado di scrollarsi di dosso parte di quel fanatismo mono-etnico (non che sia un bene, o un male) ormai anacronistico, che cita Picasso, Tom Ford, Lucky Luciano ““ non proprio icone black insomma. “Magna Carta Holy Grail” rappresenta un passo avanti ““ nella ricerca di un hip-hop universale ““ rispetto a “The Blueprint 3”, del 2009, e un passo indietro rispetto a “Watch the Throne”. L’assenza di Kanye West, qui, è ingombrante. Mascherata, ma solo in parte.

Jay-Z è tra quelli che più hanno contribuito, negli anni, a trasformare in una macchina da soldi quello che era il linguaggio circoscritto del ghetto. Per farlo ha dovuto cedere alle contraddizioni (farsi sponsorizzare da una multinazionale, per dire), e questo forse qualcuno non glielo perdonerà  mai. Ma Jay-Z è anche quello col fiuto spietato nella ricerca di talenti, quello della Roc-A-Fella, il re della East-Coast, nonostante tutto. Fuori dall’hip-hop più ortodosso, nel suo universo ipertrofico, Jay-Z continua a regnare. E poco importa che sul trono ci si è tuffato da solo.

Magna Carta Holy Grail
[ Roc-A-Fella – 2013 ]
Genere: hip-hop

Rating:

1. Holy Grail
2. Picasso Baby
3. Tom Ford
4. FuckWithMeYouKnowIGotIt
5. Oceans
6. F.U.T.W.
7. Somewhere in America
8. Crown
9. Heaven
10. Versus
11. Part II (On The Run)” (featuring Beyonce)
12. Beach Is Better
13. BBC
14. Jay-Z Blue
15. La Familia
16. Nickles and Dimes