Due pezzi prima della fine, Damon Albarn ringrazia tutti coloro accorsi al vero concerto-evento dell’estate 2013 (non ce ne vogliano quelli di Vivo Concerti che abbastanza ridicolmente indicavano come tale la data milanese dei Killers): C’è una grandissima energia stasera, non ho quasi più voce. In realtà , ‘Damonino’, la voce ce l’hai eccome. Io mi aspettavo di vederti stremato appoggiato contro la batteria a metà show, come una mosca abbattuta dall’afa e dal rumore. E invece no, hai tenuto fino alla fine in maniera dignitosa. Non che in “Song 2” qualcuno abbia avuto modo di udire la tua voce, visto che eravamo tutti preda di un’isteria, la più grande della serata, scandita da “uuuuu-uuuuuuh” e salti fuori controllo.
L’Ippodromo del Galoppo si riempie di polo Fred Perry già alle sette e mezza, e l’attesa di due ore fino alla salita sul palco dei quattro di Colchester vive di chiacchiere e silenzi spasmodici. Lo si avverte nell’aria: quello che sta per succedere è un evento. La tensione la sento perfino io, che all’epoca di “Parklife” avevo sei anni e che a quella di Blur ascoltavo Jamelia. Insomma, non posso immedesimarmi totalmente nei trenta-quarantenni che probabilmente avranno speso interi pomeriggi degli anni 90 sul proprio letto ad ascoltare e riascoltare le storielle di Damon, o a gasarsi sui fraseggi e gli assoli di Graham Coxon. Un po’ si, però, perchè la musica dei Blur ha marchiato a fuoco i 90s: dici 90 e tanti, tantissimi pensano ai Blur, così anche per il sottoscritto basta semplicemente ascoltare una “Girls & Boys” ricordando le estati al mare del 1995 e il gioco è pressochè fatto: la colonna sonora perfetta è quella; basta semplicemente ascoltare una “This Is A Low” ricordando i pomeriggi invernali del 1996 a studiare e il gioco è pressochè fatto: la colonna sonora perfetta è quella.
Alle nove e mezza Albarn e i suoi prendono possesso del palco, accompagnati da un coro gospel di quattro elementi e una sezione di fiati, giusto per ribadire se mai ce ne fosse bisogno che il pop più universale di tutti è il loro. Dicevo di “Song 2”, ma il primo momento di isteria collettiva lo si registra non appena parte “Girls & Boys”: non si può star fermi, non si può non urlare. Damon inizia a vagare per lo stage, zompettando, buttandosi a terra, incitando la platea sulle successive “Popscene” e “There’s No Other Way”, mentre il mio amico di Facebook (sul serio, siamo amici – non che si faccia problemi ad accettare le richieste, però un pochino figo mi sento) Graham è piegato sulla sua chitarra e Alex James e Dave Rowntree non hanno cambiato taglio di capelli in trent’anni (il secondo ne ha anche persi un po’, di capelli). Dopo una tripletta iniziale fulminante, una sequenza più rilassata ma suggestiverrima con “Beetlebum”, “Out of Time”, “Trimm Trabb” e “Caramel”, prima dell’ingresso in scena DEL GENIO: un fan vestito da confezione di latte esattamente come nel video di “Coffee & Tv”, invitato da Damon in persona a cantare la stessa canzone insieme a lui. “Coffee & Tv” dà la dimensione di ciò che è un concerto dei Blur: una festa. A proposito del live dei National parlai di catarsi, di un processo che rende la vita più bella passando per la rievocazione di momenti perlopiù tristi o malinconici. Ecco, per i Blur vale la stesso effetto finale: la vita diventa più ganza, ma attraverso il divertimento puro. Non c’è tempo per lasciarsi andare a lacrimucce, paranoie varie, ci si diverte, si ride, si salta, ci si fa gavettoni (e così fa anche il bambinettone Albarn inzuppando ripetutamente le prime file).
Se fin qui il concerto è stato fantastico, da “Tender” in poi diventa glorioso: per la prima volta dal 2009 è il turno di “To The End”, con l’ugola del biondino ormai 45enne in gran spolvero, e poi via col singalong di “Country House” e col delirio generale non appena il rumore di un bicchiere rotto introduce il riff di “Parklife”. Il main set si chiude con “End Of A Century” e col punto forse più alto del brit-pop: “This Is A Low”.
Damon torna al piano per eseguire il quasi-inedito “Under The Westway” (a proposito, pare che sia in cantiere un nuovo lavoro, speriamo davvero bene perchè il pezzo in questione lascia intendere buone cose). La tripletta finale è da lacrime di gioia: tutti a scandire i “la la la la la” di “For Tomorrow”, tutti col cuore stracolmo di infinito con l’inno “The Universal”, tutti finalmente a sprigionare quell’urlo che avevano in gola da mesi e forse anni sull’incendiaria “Song 2”.
Nessun artista di supporto: giusto così, volevamo solo i Blur e i Blur abbiamo avuto, in tutta la loro carica, in tutta le loro impercettibili imperfezioni, in tutta la loro gioia. E ora per un bel po’ la gioia è nostra.