Ci hanno fatto aspettare, i Polyphonic Spree. “Yes, It’s True”, primo album di inediti in sei anni, doveva uscire a fine maggio. Invece per godere della loro pazzia psichedelica mista a leggerezza pop intelligente abbiamo dovuto attendere l’estate. Più che un gruppo ormai sono un collettivo impegnato in folli imprese (tra cui spicca una versione live riveduta e corretta di canzoni del “Rocky Horror Picture Show”), una comune cresciuta a dismisura fino ad arrivare agli odierni ventidue membri che ruotano attorno al frontman Tim DeLaughter.

Ascoltando “Yes, It’s True” si nota subito che c’è qualcosa di diverso dai lavori precedenti, di più personale. Queste canzoni sembrano tanti piccoli post-it che DeLaughter lascia a se stesso, quasi fosse un moderno Pollicino che sparge intorno molliche di pane per ritrovare sempre la strada. Già  “You Don’t Know Me”, singolo apripista, sorprende per il tono pensoso con cui parla delle meraviglie e dei mille tranelli della fama (tema che torna con prepotenza anche nella seguente e solo apparentemente spensierata “Popular By Design”). Riflessive e delicate sono invece l’accorata “Battlefield” e “You’re Golden”, ballate toccanti e romantiche in cui DeLaughter si mette a nudo come poche volte ha fatto in passato. Lo spirito dei Polyphonic Spree più classici si sente soprattutto in “Raise Your Head” e “Hold Yourself Up”, tipici inni scaccia crisi e scaccia depressione tutti da cantare a cui l’allegra brigata ci ha abituato, nell’arrangiamento di “Blurry Up The Lines” e nelle divertenti “Let Them Be” e “What Would You Do?”. Ma alla fine è forte la sensazione che quella magia da eterni Peter Pan che gli Spree riuscivano così bene a evocare si avverta solo a intermittenza e che il buonumore di questo fragile esercito stavolta sia portato meno all’estremo, una maschera dietro cui si nasconde altro.

Era stato chiaro DeLaughter parlando di questo album, rivendicando la necessità  del gruppo di fare un disco di canzoni dopo la sbornia di musica ed emozioni del quasi concettuale “The Fragile Army”. E “Yes, It’s True” sembra proprio questo: un disco di canzoni dalla doppia faccia, quella strafottente e casinista che abbiamo imparato a conoscere e una più triste e tormentata. Sono dei Polyphonic Spree più adulti, capaci di trattare con lucida ironia gli affari di cuore come fanno nella teatrale “Heart Talk” e di prendersi in giro in “Carefully Try” (con quel messaggio stile annuncio radiofonico che alleggerisce l’atmosfera confidenziale del pezzo), consapevoli che non si può essere sempre e solo ottimisti a oltranza. E forse per questo a colpire maggiormente sono proprio i brani con un tocco meno alla Spree, “Battlefield” in primis, perchè ci fanno conoscere un lato diverso del gruppo: quello più fragile e vulnerabile, generalmente nascosto dalle divise multicolori.

“Yes, It’s True” è un disco sicuramente ispirato, allegro ma non troppo, serio con brio. Forse il più onesto della loro carriera, quello in cui lasciano libero sfogo alle proprie debolezze e paure, anche se qualche fan non potrà  che rimpiangere i loro sorrisi da Stregatto, non più così granitici. Certo è che hanno cercato di fare qualcosa di diverso gli Spree, provando anche a prendersi dei rischi in qualche caso e di questo gli va dato atto e merito.

Yes It’s True
[ Cherry Red – 2013]
Genere: psych pop, alt pop
Rating:
1. You Don’t Know Me
2. Popular By Design
3. Hold Yourself Up
4. Carefully Try
5. You’re Golden
6. Heart Talk
7. Blurry Up The Lines
8. Let Them Be
9. Raise Your Head
10. What Would You Do?
11. Battlefield