Nel 2011 un primo mixtape (“Tape One”) che aveva fatto drizzare le orecchie a più di qualcuno, ora il secondo capitolo (sempre di mixtape si tratta) di un terzetto la cui produzione comincia a farsi interessante. Di base a Edimburgo (ma solo ‘G’ Hastings è scozzese: Alloysious Massaquoi e Kayus Bankole hanno origini rispettivamente liberiane e keniane), gli Young Fathers sono tra le più ghiotte novità che il multiculturalismo stia partorendo da qualche anno a questa parte.
Loro stessi si definiscono una “psychedelic hip-hop boy band”. E di hip-hop si tratta, è vero, ma i riferimenti, le influenze e di rimando le suggestioni sono numerosissimi (vogliamo parlare genericamente di alternative hip-hop, giusto per dare un’etichetta?) e restituiscono un gruppo che pare aver già trovato una propria identità . In tal senso, potrei riconoscere un pezzo dei YF tra mille, tanto il loro marchio è inconfondibile. “Tape One” aveva tracciato le linee guida: una ventina di minuti di hip-hop artigianale, ruvido e grezzo eppure perfettamente compiuto. Così questo “Tape Two”: qualche squarcio di luce (leggi: malinconia pop a colorare qualche, ma proprio qualche-qualche melodia) in una notte in compagnia di indigeni dell’Africa nera portati a ballare in un club, bassi scurissimi e un retrogusto urban (cantato spesso e volentieri rap e a tratti di un soul sbilenco e sciamanico) con in controluce i Tv On The Radio più inquieti (penso all’uso delle voci e all’atmosfera generale tipica di stradine metropolitane dimenticate dal camioncino della pulizia).
Pochi fronzoli, trovate a tratti geniali, misura; le canzoni ci sono. Questi Young Fathers sembrano proprio saperci fare (il box ha l’insegna Anticon, per dire). E ora attendiamo la prova sulla lunga distanza. Consigliatissimi, fintanto, questi due mixtape.
Credit Foto: Julia Noni