Tornano a farsi sentire i No Age, duo formato dal chitarrista Randy Randall e dal batterista e cantante Dean Allen Spunt. Tre anni dopo “Everything In Between”, ormai stabilmente accasati alla Sub Pop, sfruttano al meglio l’etica do it yourself che ha reso l’etichetta riconoscibile negli anni. La copertina del vinile di “An Object” se la sono creata da soli, fatta in casa come da migliore tradizione, poi l’hanno consegnata a chi di dovere. E anche la loro musica non ha perso quell’aria un po’ anarchica che aveva nei primi dischi, diventando però col tempo più sperimentale. Non sono gente che si fa ingabbiare o incasellare facilmente in un genere musicale specifico i No Age, nè lo sono mai stati.
Pezzi dal ritmo sporco e trascinante che sembrano concepiti nel garage di casa e solo in seguito rifiniti in studio (“Lock Box”, “Circling With Dizzy”, “No Ground”), brani ammiccanti e irresistibili in odor di punk (il singolo “C’mon, Stimmung”), sperimentazioni noise piene di quella perversa distorsione che Randall e Spunt non hanno mai disdegnato arricchite da testi dall’aspetto impressionista (“Ceiling Dreams Of A Floor”, “Commerce, Comment, Commence”): questa è la ricetta di “An Object”. Disco potente e granitico in cui i No Age fanno ciò che vogliono, quando vogliono. Padroni del campo, abbassano il ritmo (“I Won’t Be Your Generator” forse la cosa più simile a una ballad che abbiano mai fatto) e lo alzano a piacimento, togliendosi qualche sfizio con i complessi arrangiamenti di “An Impression” e “Running From A Go Go”. L’atmosfera che creano è sfrenata e rabbiosa ma anche cupa, oscura, come in “Defector / ed” che ricorda le ronzanti pazzie rumoriste dei Sonic Youth portate però meno all’estremo e in “My Hands Birch And Steel”, cinquantasei inquietanti secondi dal sapore lynchiano.
“An Object” continua ad ampliare la già vasta gamma di influenze musicali che ha sempre caratterizzato i No Age. Album essenziale, distorto fin nel midollo, dove nulla è lasciato al caso, non cerca di essere originale per forza. Vogliono solo essere se stessi Randall e Spunt, artigiani musicali abilissimi a manipolare strumenti creando effetti inaspettati. Questo disco numero quattro ha un sound più curato dei precedenti e per essere apprezzato a fondo ha bisogno di molti ascolti. Ma alla fine, come direbbero i più consumati professionisti, it rocks and that’s all that matters.