Nel 2008, ad inizio decadimento del fenomeno “indie”, sul mercato musicale veniva pubblicato un album dal titolo “Glasvegas”. Sulla copertina c’era il nome della band scritto in bianco, sempre Glasvegas. La curiosità di ascoltare quell’album non fu tanto dettata dal mio progressivo disinteresse verso polverosi e stantii refrain musicali, quanto dal fatto si trattasse di una band scozzese: un campanilismo che ho sempre ritenuto di buona fattura.
Tra la fine degli anni 90 e gli inizi del nuovo millennio, la Scozia era stata la patria ideale della mia sensibilità musicale, di una nuova musica, di un nuovo mood melodico che ispirasse per i suoi azzardi quanto per le sue consuetudini. Già immaginavo, corroborato da Belle & Sebastian, Travis, Mogway, Biffy Clyro, Idlewild, il solito inventario di buona musica e talento. Ma, alla fine, ciò che mi attirava era ascoltare una colonna sonora che fosse funzionale alle mie prerogative. Sempre che ne fossero stati capaci. Effettivamente ci riuscirono abbastanza bene, regalandomi non solo la musica che volevo ascoltare ma anche una raccolta di inni dolorosi e catartici da cantare con il cuore in gola. E fu proprio grazie a quell’album che cominciai a considerare i Glasvegas come un’ottima band. Mi piaceva il romanticismo abbinato a taluni slanci poetici delle loro composizioni, il mondo da loro cantato con forte accento scozzese, la working class descritta con tratti vividi e realistici.
Ingranaggi ben rodati, che dal pop classico, passando all’ enfasi dei primi U2, fino all’epicità degli Echo and The Bunnymen, trovassero la loro formula ideale. Ebbi l’impressione, allora, che quella band fosse di buona lena. Una piacevolezza che aveva una marcia in più, grazie anche al convincente ” Euphoric Heartbreak” del 2011, album piuttosto curato nelle sonorità e complessivamente un ottimo seguito. Dunque l’idea di un loro nuovo disco mi allettava moltissimo, e confidavo in una loro definitiva conferma, cosa che in parte accade.
Il terzo lavoro, “Later…When The TV Turns To Static”, vede i Glasvegas dalla scrittura alla produzione, rispettare il proprio credo stilistico in pieno. Nessuna modifica alle loro sonorità , discreta qualità media dei brani, alcuni guizzi di livello ed un disco che scorre, seppur con alcune ripetizioni, come un piacevole episodio. Dieci tracce che focalizzano lo status quo di una band in tutto il loro repertorio; brani pop rock, melodie di malinconica grandiosità ed un cantato di grande presa, diretto e vivido. “Finished Sympathy” è certamente il passaggio più riuscito, il pezzo da novanta. Non deludono nemmeno la titletrack, “Secret Truth” e “Choices”, anthem lievi, malinconici ed intensi.
Poco o altro da aggiungere, senonchè un avvertimento essenziale. Non troverete certamente in questi dieci episodi l’album più rivoluzionario del 2013 musicale, ma se ricercate una band che sia ancora custode di malinconia raffinata, allora procuratevi la loro musica, procuratevi questo album e lasciatevi trascinare dalla loro eccelsa “consuetudine”.