Sopravvivere non è una colpa, sopravvivere non fa notizia. Un po’ inaspettatamente esce quest’anno un nuovo lavoro della band di Pete Doherty, “Sequel to the prequel”, e (musicalmente) non sembra passato un giorno dall’ultimo: se li ami probabilmente sono dieci anni che pensi di trasferirti a Camden e non ti sei neanche stancato delle infinite diatribe tra i fratelli Gallagher. Però che disco è questo? è davvero un sequel a un prequel ““ nel senso che sembra che la storia vera, quella tragica, fatale e romantica di Pete Doherty non si sia mai svolta, che si trovi in un blind spot dove neanche stirando il collo riusciamo a guardare, che sia accaduta nel millesimo di secondo in cui abbiamo sbattuto le ciglia mentre in attesa osservavamo che arrivasse l’ultimo, bruciante, intenso incidente a conclusione (o inizio) della leggenda di Doherty. Aspettavamo il boato, lo schianto, aspettavamo i rottami e invece non c’è stato niente. C’è un prima: ci sono i Libertines, c’è Carl Barat, c’è Kate Moss, c’è “Down in Albion” e gli scandali della cocaina, c’è la sensazione che sarebbe entrato nei club delle morti a 27 anni (aveva davvero la statura per farlo? Ripensandoci ora ho tenerezza per lui, non ne sono più così sicura). C’è un dopo: ci sono le foto di Pete grasso, sopravvissuto senza eroismi, c’è un po’ di indifferenza, c’è questo disco su cui c’è davvero poco da dire, se non che è esattamente un disco dei Babyshambles che poteva uscire nel 2006 e che invece è uscito nel 2013. Ci sono gli stessi temi di sempre, con meno boheme.
Ascoltandolo mi sono chiesta una cosa: questo disco non mi interessa perchè forse davvero un certo tipo di musica è per me fuori tempo massimo (insieme all’illusione che NME illuminasse la via) o perchè una mancata tragedia è solo una mancata tragedia, un po’ banale e noiosa? Il punto è un altro: solo una miseria umana, solo i rottami, il secondo di silenzio prima dell’impatto insomma, erano interessanti nella vicenda di Doherty (post Libertines, almeno)? E ancora, se Amy Winehouse fosse sopravvissuta, se avesse continuato ancora un po’ a essere un incidente ambulante, poi avesse sistemato le cose, messo un po’ di nastro intorno alle crepe peggiori, stuccato le pareti, sarebbe ad oggi meno importante? Il suo mito, la sua storia sarebbero diventati solo comuni? La morte davvero la definisce o ha solo interrotto una storia che sarebbe probabilmente diventata imbarazzante?
Forse mettere a confronto Amy Winehouse e Pete Doherty è sbagliato, è impreciso, ma il senso è questo: quanto ascoltiamo qualcosa, quanto manteniamo gli occhi sopra un incidente in arrivo perchè è impossibile staccare gli occhi fingendo però di essere lì per un altro spettacolo? Ricordo la sensazione di un concerto dei Babyshambles, anni fa, a Firenze: eravamo là per dire che avevamo visto Pete almeno una volta prima che morisse, avevamo visto Kate Moss bellissima e fatta che balbettava qualcosa al microfono, eravamo là (anche) per il circo e per la musica (ma ha fatto almeno una canzone?). Non eravamo tra quelli che i soldi del biglietto li davano direttamente a lui (ma questa storia è vera poi?), ma facevamo tutti parte del sogno d’Albione e ci beccavamo un posto nella cronaca musicale, avremmo potuto dire “sai una volta io l’ho visto dal vivo, non si reggeva in piedi, era quasi imbarazzante, però le sue cose non erano male” (e non lo sono davvero, Libertines e Babyshambles ““ ma forse è solo questione di attaccamento, di affetto ““ rimangono per me due band che hanno fatto cose che voglio ricordare. Did you see the stylish kids in the riot etc etc).
Forse così la storia è meno eroica ma meno banale, Doherty si è sottratto a un destino scritto che forse non faceva per lui, una sceneggiatura che era costretto a recitare. Il sostituto di un protagonista ““ il cantante morto giovane, il mito ““ che stavamo cercando disperatamente, nel frattempo avevamo assegnato la parte a lui: alla fine forse è più bella così questa storia. Questo disco è un po’ meno bello, ma, appunto, sopravvivere non fa notizia (ma è consigliato).