Ci sono musicisti, band che, per motivi imprendibili, astrusi o come si possano definire, sfuggono alla razionalità , fanno centro e colpiscono dal profondo al primo ascolto. Questi campani Fiori di Cadillac ““ qui con “Cartoline” il loro disco d’esordio, oltretutto hanno uno stile dolceamaro che fa strano gioco tra ere nebbiose e soft-slow alla Sinigallia o Zampaglione intimi “Io resto qui”, qualcosa di Mercury Rev a gigionare “Canzone in scatola”, accenti Milesiani “Il Ministero dell’Amore” e quella tatticità evanescente che li sconfina in una psichedelica misto-poppyes, alchimia sonora che si ascolta con l’anima in panciolle, un disco garbato e prevalentemente di tinte notturne, una elegante esibizione di bellezza che alza lo spirito.
Un disco cantautorale in formazione, tracce che si misurano distaccatamente tra bassi malinconici, liriche di amore soffuso e un senso di ibrido che pervade l’orecchio, nulla a saturazione di watt o pedaliere, solo una continua teoria di melodie profonde e volutamente ““ a tratti ““ retrò ““ messe a contrasto con soluzioni di livello, stili che si confrontano e suonano insieme intrecciando copule e bramosie magistrali; undici brani in scaletta che suggeriscono buone cose, una forza suggestiva e mid-pacata che la formazione campana esercita tra introspezione e scoppi elettrici senza mai sgarrare un colpo, specialmente nella solennità rock che “Fuori nevica” ““ sulle tracce di echi metedrinici ““ diffonde come un batterio emozionale che colpisce a random.
Sempre in discorso di echi ottimo il retrogusto folkly-prog stile Quella Vecchia Locanda in “Jonny” e il volo pindarico di corde acustiche/elettriche e spazi aerei aperti che si fanno largo tra le volte di “Le tue cartoline”, brano che chiude aprendo il respiro di un disco che vive autonomamente nella grazia vergine della “sua prima volta” ma che pare anche pronto e maturo ““ senza esagerazione – per il big jump nel firmamento discografico che conta più in su.
Ascoltare per credere, anche qui cavalli di razza in transito.