Se a qualcuno interressasse una puntuale definizione di artista all-round consiglierei di dare un occhiatina al curriculum vitae della signora Lydia Ann Koch, conosciuta dal mondo intero come Lydia Lunch.
Retorico ripercorrere scene e costumi che vivono nei suoi lavori da oltre un trentennio. “Retrovirus” è nome proprio di supergruppo – come meglio si coniugano gli incontri che rock e dintorni mai disprezzarono in vita vissuta ““ in giro per il nord America durante tutto l’anno passato. Ma “Retrovirus” è anche nome di album, risultato molteplice e dissacratorio del tour suddetto. Sulla pista di basso c’è il grande e grosso Algis Kizys, uno Swans d’oro dai tempi di Greed e Children of god – il lavoro ipertestuale goth di blood & honey e sex, God, sex per chi ha orecchie per ascoltare, occhi per vedere e memoria da…ahimè usare ““ che qui si diverte, sicuro come non mai e tecnicamente ineccepibile specialmente se distorsioni, frequenze di taglio, vorticose scale in bilico tra le be bop e le alternate (“Black Juju”, “No excuse”), destrutturazioni anti rock (“Meltdown” oratorio) sono appannaggio del robotico Weasel Walter, alfiere del punk/jazz paradigmato su tavolozze noise, attivissimo fra le due coste.
A Lydia l’ugola graffiante non è venuta meno con gli anni neanche per l’anticamera del cervello, tutt’al più l’irrisione ha assunto una postura verosimilmente pacata. La sua è onesta professionalità , viste le dimostrate doti in altri ambiti artistici e magari ora c’è una maggiore voglia di volare alto su terrapieni meno infangati di guano. Le tredici tracce corrono veloci sulle loro parabole storiche come rapida fu quella storia che dal borough di Manhattan cadde un brutto dì di crisi petrolifera su una mansarda del Lower east side, fece un rocambolesco 180 gradi fra Europa, Giappone e Regno Unito per poi tornare, jet lag permettendo, lì dove si partorì quell’idea di totalismo no rock, no wave: New York city. Eppure la poetessa di Rochester sono anni che frequenta più la Rambla che Bloody old sixth, motivo di sdegno per la politica a stelle e strisce e il conseguente ripiegamento su Barcellona di qualche anno fa. Probabilmente è questa sabidurìa che circoscrive il lessico della cantante, una più teatrale interpretazione dei vecchi brani tale da renderli più attraenti e ipersensibili.
A delimitare un perimetro di algido metallo ci ragiona Bob Bert con i suoi ostinati e colpi singoli che l’hanno reso unico nei Chrome Crunks (“run away dark”), paradiddles esterni alla nicchia ritmica a formare fills strambi (“black Juju”), doppi colpi sui bordoni e moduli di tutti i generi a deliberare un must del bruit targato Pussy Galore.
“Retrovirus” sentenzia dodici mesi passati nelle grazie di dio, sa di non essere un’attestazione di gloria e suona perfetto nella sua indefinitezza, non oltrepassa il wall of sound, conscio che oltre quel muro c’è un oblio da cui alcuni non fecero mai ritorno nelle annate che furono. La saggezza di questo album di Lydia Lunch è l’eterna sua voglia di far irradiare le storture della vita con un graffio netto alla giugulare e scusate se è poco.
- Website
- BUY HERE
2. I Woke Up Dreaming
3. Mechanical Flattery
4. Love Split With Blood
5. Ran Away Dark
6. 3 X 3
7. Afraid Of Your Company
8. Burning Skulls
9. No Excuse
10. Meltdown Oratorio
11. The Gospel Singer
12. What Is It
13. Black Juju