Ogni volta che ascolto “Warpaint” mi viene in mente “Top of the lake”; una scena in particolare: c’è il crepuscolo, ci sono delle donne che suonano su di un tetto, sgraziate e belle, nei miei ricordi ci sono delle scintille nell’aria o delle lucine appese ai camper ““ non sono sicura di quelle, forse la mia è solo una versione scenograficamente migliore, ma non riesco a trovarla e mi piace pensarla così. è facile dire, quando leggi che le Warpaint hanno lasciato L.A. per andare a registrare nel deserto vicino Joshua Tree, che le associazioni di sole ragazze hanno sempre più a che fare con versioni declinate di una stessa satan school for girls, piuttosto che con le sorellanze sciocche dei college: i patti di sangue, i braccialetti dell’amicizia, l’idea di non ballare per nessuno se non per sè; this is not about love, insomma.
Uscito a qualche anno di distanza dal primo splendido “The Fool” (2010), questo self-titled album è meno strutturato, meno pulito; è piuttosto una versione personalissima di una new age aggiornata ai tempi del rock e delle stratificazioni, capace di incantare e di rapire ““ dove la differenza tra ciò che viene cantato e ciò che viene suonato si fa più labile, tutto si fa più ipnotico. Se dovessimo trovare un difetto, “Warpaint” forse manca di un vero centro gravitazionale, ma non è poi così grave.
Il sole che filtrava nelle stanze di “The Fool” ““ non riesco a non pensare “Undertow” se non composta in un pomeriggio soffocante passato al chiuso ““ qua è diretto, distorce i confini e i contorni, è il sole delle fate morgane nel deserto; come un’immagine di cui riconosciamo a stento i tratti una volta familiari, una serie di riferimenti che vanno a vuoto, a ricordi che sembrano impossibili da afferrare: they don’t know the roots behind, ‘cause I got a knife to cut out the memories (“Love is to die”), e persino nella cover ricostruiamo i volti con un attimo di ritardo.
In una recensione ho letto Warpaint have always managed to make music to totally submerge yourself in, like an oil painting mixed with blood: le loro canzoni (prendete “Teese” o “Hi”) affascinano, con un senso sotterraneo di pericolo; non so perchè ma è ancora il sangue che continua a tornarmi in mente. Ancora “Top of the Lake”, con la comune guidata da GJ: c’è qualcosa di oscuro e che odora di ancestrale, senza la noia del termine, in quelle donne, così come in “Warpaint”.
Love is to die/love is to not die/love is to dance, sono i versi da mandare a memoria, le uniche cose che ricorderete dopo aver ascoltato questo album. Non cede a nessun trucchetto per piacere, sembra essere scritto da loro per loro, senza bisogno di un pubblico per cui esibirsi – in questa sorta di indipendenza proclamata risulta ancora più bello, nella sua disarmonia, che stordisce quasi, il canto delle sirene di Los Angeles.
Jennifer Lawrence, in “American Hustle” dice, historically, the best perfumes in the world, they’re all laced with something nasty. [“…] Sweet and sour”…rotten and delicious. Flowers, but with garbage. He always comes back for it. – e noi continuiamo a tornare dalle Warpaint.