Tutti ricorderanno bene quel giorno di giugno 2013 quando la stampa intera annunciò il ritorno di Beck. Un ritorno che ha riempito di gioia e stupore il mondo intero. Si perchè, c’erano piaciute le sue produzioni (Feist e Stephen Malkmus), il suo Record Club con rivisitazioni eleganti di canzoni di INXS, Velvet Underground, c’era piaciuta l’idea di un disco da autorealizzare con spartiti di canzoni inedite, “Song Reader”. Ci era piaciuto tutto ma davanti a un nuovo disco ti dimentichi il recente passato e ti lanci a capofitto in “Morning Phase” soprattutto se lo stesso signor Hansen in un’intervista l’aveva definito acustico.
Quando Beck mette mano alla chitarra acustica possiamo solo essere felici. “Sea Change” nessuno l’ha mai dimenticato e l’idea di poter ritornare ad abbracciare quelle intenzioni, quelle atmosfere ha caricato di aspettative le proiezioni emotive per l’ascolto del nuovo disco. Il sound è preciso e pulito, volutamente semi-polveroso, malinconico molto e riflessivo. L’ossatura del lavoro è caratterizzata da canzoni che iniziano con la chitarra acustica che poi si immergono in vasti e splendidi canyon del suono. “Cycle” è l’inizio perfetto per un disco. Iniziale tema d’archi, atmosfera ingrossata che cresce fino a lasciare spazio alla chitarra: è bastato un minuto scarso a “Morning Phase” per dettare le regole del gioco. Un gioco dove cambia poco o niente e il bello sta proprio in questo “Morning”.
La ripetizione è una scelta stilistica, come in alcuni episodi di “Sea Change”, le dilatazioni sonore, l’andare avanti senza sapere se finire, fanno la magia del pezzo. Vi ricordate quanto faceva male il tema ripetuto e ostinato di “The Long and Winding Road”? “Heart is a drum” è il pensiero di una lunga strada lì nelle distese americane in compagnia di Crosby, Stills, Nash ma quarant’anni dopo con il piano che fa pensare a quell’ala southern-rock appena frequentata dai Wilco. In “Say Goodbye” Beck incontra trame blues-zeppeliane stile “Your time is gonna come”. Del resto l’ha detto stesso lui in una recenta intervista a NPR: Il suo DNA è pieno di folk e country-Blues tradizionale. “Blue Moon” è semplicemente fantastica. Un viaggio dove l’artista si spoglia di tutto se stesso per rincontrarsi nella liberazione dell’inciso con un coretto da brivido e la marcia finale scandita dall’immenso Waronker che sembra essere ritornato sui sentieri ritmici di “Out of Time” dei R.E.M. Insomma il pezzo è un numero magistrale.
Spazio all’ acid-pop in “Unforgiven”. Pezzo di un’eleganza e tecnica incredibile, che ti prende per mano e ti porta oltre l’orizzonte in un viaggio che continua con “Wave”, un momento di preghiera toccante, intenso, perforante. Un momento così forte e suggestivo che taglia mente, cuore, e disco in due parti. Qui incontri davvero un inedito Beck, che in un disco meditativo, riesce a trovare la forza per spingersi oltre “into the wild”. La seconda parte del disco è più rassicurante, viva, più soleggiata (“Don’t let it go”, “Blackbird Chain”). “Turn away” è il pezzo mancante di un mosaico bellissimo chiamato “Deja Vu” targato CSYN.
Tornato negli stessi luoghi di “Sea Change”, “Morning Phase” raduna la squadra di allora, con Smokey Horkel alla chitarra, Joey Waronker alla batteria e gli arrangiamenti di fiati e archi affidati al papà di Beck, David Campbell. Alcuni brani sono stati registrati agli studios di Jack White che fa della nostalgia e il DNA fatto di recupero di tradizione il proprio modus operandi. Ulteriori ingredienti che danno un contributo enorme a questo lavoro grandioso. Del resto si sa, parliamo di un immenso appassionato e di un incredibile perfezionista. Mr. Hansen è presente più che mai e questo può essere soltano un bene.