Sono passati dieci anni da “Garden State” e nessuno di noi è migliorato particolarmente. Quanti anni avevate quando gli Shins hanno promesso di cambiarvi la vita? Dove vivevate? Cosa è successo? Dieci anni non sono niente, dieci anni sembrano tanti. Io al tempo non andavo neanche al liceo (le m-e-d-i-e), compravo costose riviste inglesi ma in provincia, i Death Cab erano il mio gruppo preferito; non è cambiato un granchè da allora, appunto. Dieci anni dopo, Zach Braff torna al cinema con “Wish I was here” (esce negli Stati Uniti il prossimo 28 Luglio) e le recensioni tiepide dal Sundance non parlano di un nuovo “Garden State”. Nemmeno lui sembra migliorato poi tanto (però, Zach Braff ha qualcosa come un milione e mezzo di fan su Facebook, un po’ meno su Twitter: potevate immaginarlo? Il vostro film preferito è il film preferito di un sacco di persone e parla ““ anche ““ di sentirsi continuamente fuori luogo, how funny).
Cosa c’entra questo con i Real Estate? Il loro precedente disco, “Days” sta ai Real Estate come “Garden State” sta a Zach Braff (e a tutti noi): i figli del New Jersey stanno bene e stanno tornando in famiglia. Riascoltatelo: è tornare nella città dove siete nati, prendere la macchina e girare a vuoto lungo le strade che un tempo erano familiari e scoprire che c’è ancora qualcosa che vi lega là , anche se desidereste il contrario, sono i vecchi amici con cui ormai condividete sempre meno e che restano le persone che vi conoscono da più tempo in assoluto. La prima volta che siete tornati, tutto questo aveva senso, era significativo. Anni dopo, non ha più quell’importanza là : rifate lo stesso tragitto e sentite sempre meno. “Atlas” è un po’ la stessa cosa: riconoscete lo stesso sentimento che avete provato quando avete ascoltato “Days” per la prima volta, ma con sei gradi di freddezza in più. Qualcuno ha sempre lo stesso numero di telefono e fa le stesse cose che faceva quando avete fatto le valigie per la prima volta e siete partiti, ma se ci pensate, questo non vi dice più niente: I see past lives and somehow you’re still here”, cantano in “Past lives”, e poco più avanti “This is not the same place I used to know: non saremo migliorati, forse, ma certo non siamo gli stessi di dieci anni fa, o forse abbiamo semplicemente smesso di pensarci troppo.
Non che non ci siano episodi di valore nel nuovo disco della band del New Jersey, eppure “Atlas” è tiepido, è un disco che, impegnatevi quanto volete, ma non resterà nel vostro lettore per molto tempo. Anticipato dalla buona “Talking backwards” e dal suo We can talk for hours / and the line is still engaged/ were not getting any closer/you’re too many miles away ““ un paio di versi che rappresentano un po’ tutti, prima o poi ““, questo lavoro potrebbe essere anche suonato al contrario e ancora una volta “nothing I said came out right”; non è colpa di nessuno, ma certe epifanie succedono solo una volta, abbiamo “Days”, qua diciamo solo che quell’epoca è finita.
La migliore traccia resta “How I might live” ““ toh, ecco gli Wilco, nel cui studio di Chicago hanno registrato il disco ““ che segna un passaggio a un suono più maturo, lo scatto verso i Real Estate che mi aspetto di sentire nei prossimi lavori. Il resto lo avete già sentito ““ da qualche band Sub Pop o della Captured Tracks (ho personalmente decretato “Summer holidays” di Wild Nothing la canzone di quando vai a trovare i genitori con il nuovo ragazzo, va bene?).
Se vi piacciono gli Shins, se ancora i Death Cab For Cutie ““ i Death Cab For Cutie di “The Photo Album” o fino a “Transatlanticism” ““ hanno senso per voi, allora ascoltate pure “Atlas”, ma I cannot come back to this neighborhood/ Without feeling my old age. Siete avvisati.