La prima traccia dell’album d’esordio dei Cheatahs è la chiave di lettura di tutto ciò che ne segue: i pochi secondi di “I” in cui l’irrompere di una chitarra (che proseguirà poi nella successiva “Geographic”) sembra mescolarsi a suoni eterei post-disastro-naturale danno il la alla storia dell’umanità .
Con prepotenza l’homo sapiens imbraccia una chitarra che suonerà ininterrottamente insieme ai suoi simili fino alla fine della sua storia.
Il paladino di questa ondata shoegaze è Nathan Hewitt che insieme alla sua band di stampo internazionale riporta in luce un genere che aveva bisogno di un sound nuovo. Oppure vecchio. Oppure semplicemente un wall of sound come quello che sapientemente e senza strafare sono riusciti a fare con questo record. Reminiscenze di My Bloody Valentine e Yuck nei momenti più “tenui” come la bellissima “The Swan”, in cui le chitarre si distorgono a vicenda in riffs che farebbero invidia anche ai Weezer più di successo.
Vocalità leggere e mai prepotenti (anzi, spesso prevaricate dal frastuono melodico che le attornia) che in qualche punto ricordano il mood alt-rock dei Dinosaur Jr. e dei Yo la tengo dei primi tempi. Il disco non presenta increspature o cambi di intensità , il che potrebbe far pensare a qualcosa di piatto, di monotono. Al contrario, invece, il desiderio di riempire ogni singolo centimetro e secondo a disposizione è segno e parabola della storia dell’uomo di controllo bramoso ed esasperato del mondo circostante.
I Cheatahs plasmano il mondo in cui viviamo, lo riempiono di vitalità allo stato primordiale in modo da non perderlo. Soltanto seguendo i leader di questo nuovo e allo stesso antico movimento si può comprendere la filosofia primitiva dei Cheatahs.
2. Geographic
3. Northern Exposure
4. Mission Creep
5. Get Tight
6. The swan
7. IV
8. Leave to Remain
9. Kenworth
10. Fall
11. Cut the grass
12. Loon Calls