Pare che l’appellativo di canzone d’autore indie risulti una definizione totalmente imprecisa, specie se il soggetto in questione riguarda la musica di Dario Brunori. Eppure di fronte a queste dichiarazioni non si può non essere scettici: lungi dal risvegliare una polemica già avviata, anche perchè non è questo il luogo, ”Il cammino di Santiago in taxi Vol. 3” è comunque un disco che accende parecchie riflessioni. Da un lato perchè quella critica indipendente che va da Federico Gugliemi a John Vignola ne difende l’onestà intellettuale e forse sbaglia arenandosi in una visione eccessivamente stilnovista; dall’altro lato perchè questo album rappresenta quella fisionomia decadente del cantautorato italiano. L’orbita di questa deriva gira intorno ad alcuni temi ormai saturi come la tristezza e la solitudine, ma possibile che non si riesca mai a vederne un lato ironico? E dunque, dov’è finita quella vena umoristica del primo Brunori?
All’interno di queste undici tracce, certe scelte stilistiche nel complesso lasciano a desiderare: ”Arrivederci tristezza” dove l’intro ricorda vagamente ”Stay” dei primi Pink Floyd, diventa una premessa sonora che prefigura una dimensione sommessa e prudente senza intuizioni avvincenti, e la tristezza alla fine rimane. ”Kurt Cobain” invece è imperniato su un testo quasi esistenziale, prende come riferimento due icone (l’altra è la Monroe) del successo cercando di costruire il ripetuto complesso psicologico dell’artista sensibile e fragile, ma il risultato è scarno e mediocre soprattutto sul piano della lirica. ”Mambo reazionario” e ”Santo morto” invece spiccano sia per contaminazione sia per ricerca musicale: la prima testualmente parlando risulta un po’ forzata con giochi di parole poco calibrati; la seconda invece ha un buon tiro, specie nell’arrangiamento in chiave folk che dà spazio a qualche lettura etnica.
Infine ”Pornoromanzo” è sicuramente da sottolineare per la sua struttura quasi rock, fortemente ritmata e con tagli vocali più incisivi. Per il resto il disco è in generale colmo di riferimenti ai grandi artisti della nostra tradizione cantautoriale, ma in fondo permangono come tentavi inconcludenti. Brunori vuole viaggiare dentro un taxi perchè pensa che dopo tutto la maturità non sta nel pensare la vita, bensì nel viverla. Le sue critiche a questa generazione frenetica e annoiata sono palesi e a volte scadute nel refrain decadentista che si nutre di immagini cinematografiche già vissute. Il vero scandalo si trova però in un interrogativo dove la musica di Brunori non riesce a rispondere autenticamente: se come ricorda il buon Emiliano Colasanti ‘sapere da cosa si fugge, è l’unica condizione per fare della musica che abbia un senso‘, ecco sarebbe interessante conoscere il parere del musicista cosentino, senza chiedere a Kurt Cobain.