Dopo “Half way home”, il primo album quasi interamente acustico, come è “normale” che sia (è successo e succede a molti artisti) la cantautrice di Chicago appena trasferitasi in North Carolina sperimenta sonorità nuove, e cambia non poco il suo stile.
L’approccio elettrico da l’input a tutte le tracce, così che ogni rimasuglio di Laura Marling venga sotterrato sotto un impatto più aggressivo e completo alle tracce (la band è ormai fissa); “Forgiven/forgotten” è subito garage-punk nell’intenzione, anche se la voce di Angel e i cori annessi renderebbero di più in una canzone dei Fleetwood Mac probabilmente. “High five” è un tentativo folk rock piuttosto azzeccato, con chitarre che ricordano gli Yo la Tengo di una volta, ma senza esagerare; si passa dall’indie rock di “High and wild” con molto piacere, finchè non si approda al porto della leggerissima “Iota”, dove il tono più lieve, meno strascicato e decisamente più sincero della nostra Joan Baez degli anni’10 del 2000 mette in risalto la sua vera natura cantautorale. Lo stesso vale per “Dance slow decades”, un climax elettrico di una epicità notevole in cui Angel dà il meglio del suo repertorio ballad, per non parlare del gioiellino “Enemy” alla numero 10, solo voce e chitarra acustica, come a dire “ragazzi, sono sempre io, non sono cambiata: dovevo soltanto sfogarmi un attimo”…”
Decisamente un disco molto piacevole, di compagnia ma senza malinconia, discreto ma non incompleto.