Le atmosfere intime e delicate, i richiami ad una electro-soul meditativa sono le coordinate fondamentali di ”Built on Glass” album d’esordio per il giovane Chet Faker, tuttavia già noto per alcuni Ep, singoli e collaborazioni nell’ambiente australiano. Un atteggiamento minimale segue il fluire di questo lavoro che mescola sapientemente diverse strategie, da James Blake a Bon Iver passando per àsgeir, e difatti un certo fascino etereo sembra rinvenire durante l’ascolto. ”Release your problem” dalle linee vocali impostate in un soffice R&B, a dimostrare la capacità di gestire la pluralità di influenze, diventa l’intro di queste dodici tracks.
Il sax sognante di ”Talk is Cheap” accompagna un movimento ondulatorio, quasi si riconosce la cura dell’hip-hop di Akua Naru a metà tra spoken e cantato, mentre un feeling soul si espande durante l’ascolto. Straripa di incisività ”Melt” in featuring con l’artista Kilokish tanto da sfumare verso calde alchimie soul. Dalla settima traccia ”/” una voce annuncia un cambio di registro all’interno del disco: This is the other side of the record. Now relax still more and drift a little deeper as you listen. Chi ascolta entra in un vortice più electro abbandonando i fiati, per esempio, e lasciandosi trasportare da ritmi più sofisticati: ”1998” e ”Cigarettes & Loneliness” si muovono su questo passo arricchendo le influenze gospel su nuovi profili contemporanei.”Lesson in Patience” tempera il sound fino alla bellissima ”Dead Body” dove chitarre voci e piccoli tocchi di organo si fondono in una pace irreversibile.
E’ valsa la pena aspettare un anno dall’Ep ”Thinking in Textures”: il muro sonoro di Chet si sta consolidando, la consapevolezza e la capacità di saper gestire insieme diverse influenze si affina sempre più verso una totale dedizione alla poliedricità , direttrice di un fascino accattivante.
Cedit: Nick Murphy