Un Ep “Rock and Roll Night Club” , un primo album chiamato “2” e il secondo disco “Salad Days”. Due anni (2012-2014) in cui Mac DeMarco si è ben rapidamente inserito tra gli ascolti dei nostri dispositivi. La sua giovane età , da non confondere con termini come adolescente e frutti acerbi, mostra una fortissima consapevolezza e maturità di sapere cosa si è. Eppure le sue canzoni sembrano fatte per un piccolo garage dove strimpellare e buttare giù quello che si ha dentro. Pezzi scanzonati, sognanti, sfuggevoli, leggeri quasi mai impegnativi ma nemmeno banali come la strumentale “Jonny’s Odissey” ultimo brano di “Salad Days”.
La title track è un piccolo gioiellino, forse qui il termine jizz jazz di de DeMarco è finalmente uscito fuori mostrando i suoi connotati. Inizio immediato, senza respiro, coretto scanzonato un pò slacker un pò baggy degno del primo Albarn e quel guitar-pop con la quale facciamo ben volentieri i conti ogni giorno. DeMarco diventa Lou Reed e sforna un pezzo bellissimo, “Blue Boy”, dove la malinconia e la sfuggevolezza del tempo si fondono con gli effetti di chitarra, arma micidiale del sound di “Salad Days”. Un Shit (detto prima del pezzo) è continuano le trascinanti alchimie velvettiane condite di groove, acid-pop e funky, altro ingrediente che difficilmente manca nell’idee dell’artista canadese. Tutto questo nella terza traccia,”Brother”, che ci riporta nella zona acida degli anni ’70 un pò alla maniera di Kurt Vile. Ascoltare “Let Her go” significa vivere un piacevole momento pensando ai Real Estate di “Days” e soprattutto al divino cantato di Ray Davies, quasi come se i Kinks rappresentassero un punto fermo in “Salad Days”.
Dissonante piacevole: immaginate il suono di una chitarra elettrica carica di filtri Instagram ed ecco a voi “Goodbye Weekend” dove non manca la qualità nel ritornello a due voci, una giocata che tanto amiamo in Stuart Murdoch, e un assolo bellissimo che ti conquista già al primo ascolto. Il richiamo ai Kinks lo ritroviamo con piacere nella ballad “Let my baby stay”dove la voce di DeMarco è una fantastica fusione Lennon–Albarn. Il bel quadro sixties si completa con la Harrisoniana “Passing out Pieces”.
Tutti questi apparenti e numerosi richiami, sembrano il frutto di una ricerca di genere o di forma canzone studiata e invece qui sta il bello perchè non stiamo parlando di un sound che si rifà a quel periodo, al vintage, a richiami del passato. Riesce tutto spontaneo al nostro Mac. I suoi pezzi sono buttati giù così, il suo cantato così disinterresato e le idee molto istintive. Immaginiamo pezzi scritti durante intere giornate passate a suonare nel garage con la band. Sono forse queste le qualità migliori del giovanissimo artista che ha persino la capacità di breakkare nel suo disco con un pezzo, che Wayne Coyne apprezzerebbe, così isolata dal contesto, “Chamber of Reflection” perfetto esempio di pop d’autore anni’80. Un disco perfetto per girare e uscire con la primavera ormai ben presente nelle giornate per dimenticare un pò tutto e lasciarsi andare, la vera palestra di cui abbiamo bisogno un pò tutti.
Credit Foto: Christine Lai