C’erano una volta i Pete And The Pirates, dinamico gruppetto indie rock inglese di ottime speranze nato nel 2004 che viaggiava allegramente sulla scia di Kaiser Chiefs e Maximo Park. Ritmi incalzanti, chitarre taglienti e affilate, testi intelligenti pieni di britannico sense of humor, qualche piccola e gustosa hit underground. Una lunga carriera da eterne promesse sempre sul punto di sbocciare grazie alle cure del DJ Zane Lowe e di quel manipolo di carbonari che gestiscono la radio BBC6 (che li adoravano senza riserve). Poi nel 2012 uno scioglimento piuttosto improvviso, che ha lasciato molti con l’amaro in bocca.
I Teleman, come una perfetta araba fenice, nascono dalle ceneri dei Pete And The Pirates. Formati dai fratelli Sanders (Thomas chitarra e voce, Jonny tastiere e sintetizzatori) e da Pete Cattermoul (basso) cui poi si è aggiunto il batterista Hiro Amamiya, hanno recentemente aperto i concerti del tour europeo dei redivivi Franz Ferdinand riuscendo a intrattenere piacevolmente un pubblico che aspettava solo di ballare i successi della band di Alex Kapranos. C’era un po’ di curiosità su come avrebbero retto alla prova dell’album d’esordio, pubblicato a fine maggio dopo alcuni singoli orecchiabili e incoraggianti.
“Breakfast” è stato prodotto dall’ex Suede Bernard Butler, abile nel capire e far fruttare al meglio le qualità dei Teleman. Il loro è un indie pop educato, con qualche chitarra rock dal suono pulito e una batteria incalzante che ogni tanto riescono a far capolino tra gli onnipresenti sintetizzatori anni ottanta e la voce angelica di Thomas Sanders sempre in bilico tra malinconia, ironia e incertezza (ascoltare per credere “Steam Train Girl” o il blando corteggiamento di “Cristina”). Un album pieno di piccole hit potenziali, “Skeleton Dance” ma anche “Mainline” e la beatlesiana “Redhead Saturday”, di quelle che magari non vendono a pacchi ma si insediano nella playlist del lettore mp3 un po’ a sorpresa e senza clamore. Il giusto mix di ballate struggenti con pretese orchestrali (“Lady Low”, “23 Floors Up”) e melodie ben costruite (“Monday Morning”, “In Your Fur”, “Travel Song” con annessa ghost track molto krauta).
Se “Breakfast” fosse un ragazzo sarebbe il classico tipo carino e rispettabile, tanto tenero e con un gran senso dell’umorismo. Uno di quelli che ci provano con la lei di turno portandola a cena, facendola ridere. A casa entro mezzanotte e sulla porta un casto, impacciato bacetto sulla guancia senza neppure provare a entrare. Non un uomo da colpo di fulmine, ma dopo un po’ i belli e impossibili stancano. “Breakfast” è un disco per tutti i twee, i nerd, i romantici senza speranza del terzo millennio. Perfetto per consolare chi insegue sempre il partner sbagliato, finendo puntualmente col cuore spezzato.
Credit: Press