Questo disco era, personalmente, uno dei più attesi del 2014: dei tre canadesi vi avevamo parlato ai tempi del secondo album, correva il 2012 e “BBNG2” era stato indubbiamente una delle migliori sorprese di quell’anno. E continua ad esserlo.
Gli interrogativi che accompagnavano l’uscita di questo terzo capitolo nella discografia dei BadBadNotGood riguardavano soprattutto il cambio di prospettiva: era possibile per Alex Sowinski, Chester Hansen e Matthew Tavares mantenere la freschezza degli esordi, la genuinità delle autoproduzioni nonostante l’approdo ad una label, pregiata e chiacchierata, come la californiana Innovative Leisure? Le risposte che questo terzo album ci consegna paiono essere assi positive: bandite le cover (straordinarie ed eclettiche quelle che impreziosivano i lavori precedenti), i nove brani autografi di “III” testimoniano l’ottimo stato di forma e la maturità conseguita dal trio (spesso fiancheggiato dal sax del sodale Leland Whitty).
Insieme alle riletture scompare però anche quell’attenzione verso certi suoni della contemporaneità : quello spirito hip-hop e post-step riappare soltanto nell’accattivante singolo “Can’t Leave the Night”, quasi a un collegamento tra passato e presente. Un presente in cui i BadBadNotGood si propongono novelli King Crimson (“Confessions”) oppure giocano soavi al confine tra dub e acid-jazz (“Since You Asked Kindly”): dimostrano insomma di aver cambiato leggermente i colori della propria tavolozza, ma senza averne affatto ristretto l’ampiezza.
Al traguardo del terzo album la splendida parabola dei BadBadNotGood si conferma verissimo punto di riferimento per gli appassionati di musica senza restrizione alcuna: sarebbe infatti ingiusto cercare definizioni più specifiche per il trio canadese; loro semplicemente suonano e sanno farlo dannatamente bene.