VOLCANO CHOIR (live @ Sala Apolo)
Un timido sole, la fila per entrare, prenotazione in mano. Parte ufficialmente nelle prime ore del pomeriggio davanti alla Sala Apolo la nostra edizione 2014 del Primavera Sound. Special show dei Volcano Choir, esibizione che ha tanto il sapore di prova generale in vista del live ufficiale al Parco prevista pochi giorni dopo .
Justin Vernon e compagni, lontani dai palchi da diversi mesi, non lasciano trasparire i postumi del riposo forzato nell’ora mezza circa di live allestito per i pochi fortunati (tanti senza prenotazioni verranno rimbalzati all’entrata). Location decisamente più adatta del dispersivo “‘parco’, scenografie e giochi luci di grande impatto, Justin in forma Bon Iver (quanto si diverte con quel vocoder..) sostenuto da ottimi comprimari e poi un disco come “Repave ” che porta in dono una buona dose di “‘sing-along’ (dall’ossessivo behave di “Alaskans” al trascinante take notes there is a hole in your heart di “Dancepack”, confezionano lo show perfetto. Ai nastri di partenza e abbiamo già  la migliore performance del Primavera?
(Alessio “Axelmoloko” Pomponi)

REAL ESTATE
Cosa divide una delle migliore performance del festival e, forse, la più deludente? 13 fermate di metro spalmate su 2 linee. Suonata l’ultima nota di “Almanac” abbandoniamo in tutta fretta la Sala Apolo e i Volcano Choir per raggiungere il Parc del Forum. Qui i i Real Estate nonostante il sole e il senso generale di euforia dovuto tanto dalle prime ore di festival quanto allo scampato pericolo tormenta di pioggia mista a freddo, non lasciano tracce del loro passaggio in terra catalana. Il psych-pop in salsa easy listening , che pure non potrebbe ambire a contenitore migliore di un festival sotto il sole di fronte al mare, scivola via senza particolari sussulti. Sbadigli e i classici ‘su disco sono un altra cosa’ certificano il passo falso del quartetto americano.
(Alessio “Axelmoloko” Pomponi)

MIDLAKE
Al confronto dei Real Estate i Midlake sembrano i Pink Floyd. Recupero e sottoscrivo questo status apparso su facebook. Alla band texana basta infatti imbastire con mestiere il proprio set per risollevarci il morale dopo l’opaca prestazione dei Real Estate. L’ultimo “Antiphon” è folk-rock robusto e godibile metre gli estratti da quel capolavoro di “The Trials of Van Occupanther” jolly infallibili giocati ad arte per conquistarci. “Young Bride”, “Roscoe”, “Head Home” anche orfane di Tim Smith, regalano momenti di soddisfazione collettiva.
(Alessio “Axelmoloko” Pomponi)

WARPAINT
Il quartetto losangelino scalda il pubblico per i live più grossi (St. Vincent, QOTSA, Arcade Fire) con un live sorprendente, in cui i pezzi dell’ultimo self-titled acquistano tridimensionalità  senza perdere del tutto quella evanescenza che ne caratterizza le versioni in studio. Poco meno di un’ora per dieci canzoni tra le quali spiccano le ultime “Love Is To Die” e “Biggy”, meno una cover di “Ashes To Ashes” di David Bowie che richiede di essere evidentemente perfezionata. Le Warpaint dal vivo sono fighe, precise ma anche selvagge. Si lasciano andare a digressioni noise senza perdere di mira quell’attitudine dark sottilmente legata a Siouxie. Assolutamente promosse.
(Alessandro “Diciaddùe” Schirano)

ST. VINCENT
Ho una teoria su Annie Clark, perlomeno sull’ultima. Secondo me si è bevuta il cervello. E’ diventata una donna completamente allucinata, e non parlo tanto dei capelli color platino (che la rendono una David Byrne proveniente da Venere), ma proprio del suo essere e del suo atteggiarsi o, meglio, comportarsi. Muoversi. Come un automa (e questo riflette chiaramente i temi dell’alienazione tecnologica al centro di “Digital Witness”). Ad Omaha, lo scorso marzo, si era esibita negli stessi movimenti, coreografie folli per soli arti e testa (live quindi studiato nei minimi dettagli da farlo sembrare una recita. Poi lo sguardo, allo stesso tempo presente e allucinato, quasi di vetro. Tutto ciò in certi momenti me la farebbe detestare se i suoi concerti non fossero così grandiosi. Annie è un genio alla chitarra (e già  lo sapevamo) e la sua voce squilla e romba come se si stesse concentrando solo su quella (invece sta suonando robe tipo “Surgeon”, per dire). Grande spazio dato all’ultimo “St. Vincent”, con highlights assoluti i singoli “Birth In Reverse” e “Prince Johnny” e con la chicca “Every Tear Disappear”, oltre alla già  citata “Digital Witness” e ad una roboante “Huey Newton” posta quasi in chiusura. E’ un po’ che lo volevo dire e ora finalmente posso: dal vivo St. Vincent è bombastica.
(Alessio “Axelmoloko” Pomponi)

ARCADE FIRE
E vabbè, cosa volete che vi dica? Parlare degli AF dal vivo, di questi tempi, è come trovarsi nei panni di un professore che riceve i genitori del migliore della classe a colloquio. Che nella dimensione live i canadesi siano una bomba si sa, l’esibizione al Primavera è stata solo l’ennesima conferma. Così come è stata una conferma l’attitudine di Butler e soci per i giochini con la scaletta: iniziano con “Reflektor”, scelgono “Rococo” come pezzo recuperato dagli scorsi tour e non gettonatissimo in questo (tra l’altro, snippet di “Helter Skelter” in coda), scelgono “Tequila” di Serrano y Sus Jamones come cover omaggio ai locali, ci inondano di coriandoli fino agli angoli più remoti del nostro corpo durante “Here Comes The Night Time”, chiudono al solito con “Wake Up”. Chi non fosse alla più grande festa della rassegna catalana può (deve) rimediare QUI.
Davanti al palco degli Arcade Fire si canta, si urla come folli, scende qualche lacrimuccia (“It’s Never Over”), ma fondamentalmente a questo giro (nel Reflektor tour) si salta e si balla. Coniugare tutto ciò (prendi “Afterlife”) non è cosa da poco.
(Alessandro “Diciaddùe” Schirano)

DISCLOSURE
I due inglesini sono quanto di meglio si possa desiderare dopo gli AF: una specie di camera (da ballo) di depressurizzazione a cui abbandonarsi totalmente. Speravo in una comparsata di Sam Smith (in Italia il giorno prima a lasciare a bocca aperta gli spettatori di The Voice. C’era mia madre a casa e lei lo guarda. Questo potrebbe far pensare ad una donna dai gusti musicali frivoli ma considerate che ha gli stessi Arcade Fire sul cellulare, va matta per National, Wilco, Beach House e addirittura Darkside – io quest’estate farò del mio meglio per emanciparla definitivamente da X Factor e The Voice stesso) da ad impreziosire una già  trascinante “Latch”, invece niente. I fratelli Guy e Howard Lawrence, tuttavia, bastano a far tremare la terra di bassi e di “White Noise”.
(Alessandro “Diciaddùe” Schirano)

METRONOMY
Ultimo della giornata per me, il live dei Metronomy mostra una band che si diverte e fa divertire col suo electro-pop frizzante e vagamente da Happy Days (complice un palco futur-vintage). Purtroppo la voce di Joseph Mount non si dimostra all’altezza. Peccato perchè con singoli di quella fattura (“Holiday”, “Radio Ladio”, “Love Letters”, “The Look”, “She Wants”, “I’m Aquarius”, tutti sparati in questa sequenza fino a metà  scaletta) la loro performance poteva diventare un piccolo gioiello.
(Alessandro “Diciaddùe” Schirano)