Non si dica che Simon Reynolds non ci avesse visto lungo già nel 1987, quando su Melody Maker scriveva che Morrissey non poteva che diventare vittima della perfezione del suo stile […], è condannato a recitare la propria pantomima in eterno. E “World Peace Is None Of Your Business”, album numero dieci in carriera, è qui a confermarlo: il ciuffo più inimitabile che il globo terracqueo abbia mai ammirato, pur mostrando segnali di timida evoluzione (meglio: di coraggio), condensa in 12 pezzi (più sei nella versione deluxe) un po’ tutto il suo universo musicale e tematico.
La questione politica, ad esempio: la title-track ha un titolo memorabile, a primo impatto cattivo ma in realtà ironico nel midollo (sono i politici a dare alla gente dei “piccoli poveri pazzi” e non lui, come si è scritto altrove – leggere il testo sul booklet). Poi gli omaggi vari: alla beat generation di Cassidy e Ginsberg (“Neal Cassidy Drops Dead”) e al sempre caro dear hero imprisoned (la cupa e ariosa insieme “Montjoy” – celebre e crudele prigione irlandese – controparte amara di “The Last of Famous International Playboys”). E ancora, il desiderio: una “Kiss Me A Lot” che pare più un divertissement dal punto di vista lirico (Kiss me all over the place and when you’ve kissed me kiss me all over again), e restituisce un Mozza più “giocoso” (anche se tale aggettivo abbinato al personaggio in questione mi provoca prurito alle mani), alleggerendo la “Let Me Kiss You” di You Are The Quarry”. L’empatia, poi: sullo stesso binario che collega “Billy Bud” al presentatore televisivo dimenticato di “Little Man, What Now?”, si collocano il padre alla disperata ricerca del figlio di “Istanbul” e la ragazza senza nome che si butta giù per le scale dell’università perchè incapace di reggere le aspettative di padre e fidanzato (“Staircase At The University”).
Non si può poi non pensare a “William, It Was Really Nothing” ascoltando “Kick The Bride Down The Aisle” (foriera di uno dei versi più crudeli e allo stesso tempo esilaranti del Nostro, quel Look at that cow / In the field / It knows so much more then your bride knows now). La solita invettiva animalista trova spazio in “The Bullfighter Dies” (con dei giochi di parole che ai primi ascolti trovi irritanti per poi accettarli così come vengono) e in “I’m Not A Man”, ennesima presa di distanza dal genere umano o, meglio, dal concetto di mascolinità universalmente noto. Proprio “I’m Not A Man” mostra un Morrissey più (nei limiti del caso, ovviamente) sperimentale: una cavalcata prog-pop di 7 minuti e 47 che inizia come un carillon nel dormiveglia per poi esplodere, assopirsi e quindi destarsi ancora. In un album che è un trionfo di slogan (Each time you vote you support the process, Earth is the loneliest planet of all, I’m something much bigger and better than a man), non manca il solito (caro) spleen mortuario, collegato in questo caso al sesso: Sex and love are not the same (“Smiler With Knife”, uno dei pezzi più sentiti e convincenti del lotto) è uno di quei versi destinati a trovare posto sulle membra degli appartenenti al Moz Army. Ciò che non convince, invece, è il testo (solo il testo) di “Earth Is The Loneliest Planet”: tipica roba da Morrissey, di quelle che lui potrebbe scrivere col pilota automatico ma che non graffia più e di cui, francamente, non si sente neanche più il bisogno.
Musicalmente, le schitarrate di “Neal Cassidy Drops Dead” pongono il pezzo sulla stessa linea di “Glamorous Glue” e della più recente “Something Is Squeezing My Skull”; la ruvida impertinenza di “Years Of Refusal” (a mio parere migliore di quanto si scriveva nel 2009 su queste stesse pagine) riaffiora solo qui. Per il resto, si consolida la sbandata per la musica latina (flamenco a go-go sparso qua e là , in “Kick The Bride…”, “Earth Is The Loneliest Planet” e nella stessa “Neal Cassidy…”). E si aggiunge un pizzico di orchestrina francese (il disco è stato registrato a Saint-Rèmy-de-Provence) – ancora “Earth Is The Loneliest Planet” e “The Bullfighter Dies”. “Staircase At The University” è una tipica storiella morrisseyana che incornicia con una vena sbarazzina alla “Our Frank” o alla “Lucky Lisp” e addirittura con un hand-clapping un verso come She threw herself down / and her head split three ways (insomma una canzone che solo lui potrebbe progettare e impacchettare in questi termini). “World Peace…” è un disco in cui Morrissey concede molto, molto spazio alla propria band, libera di darci dentro, prendersi tempo e restituire soluzioni sonore quasi barocche, fra fiati, didgeridoo, Q-chord e tastiere sibilanti.
Ve la ricordate “You Know I Couldn’t Last” contenuta ancora in “You Are The Quarry”? Nella conclusiva “Oboe Concerto” (a proposito, dopo all the best ones are dead si è lì lì per tornare ancora al 1987 e canticchiare and if you think peace is a common goal ecc.), il Moz canta The older generation have tried, sighed and died / Which pushes me to their place in the cue. And the rithm of life goes ‘round, così come la pantomima di cui parlava Reynolds. Il solito maladjusted, la sua proverbiale pantomima, come sempre in gran stile e stavolta – udite udite – con un pizzico di divertimento in più