Quando si parla del “menestrello” Will Oldham al secolo Bonnie Prince Billy e una caterba di ulteriori aka, aka e ancora aka, spesso si è in confidenza a corto di aggettivi, si è già detto tutto o quasi di questo songwriter americano e delle sue infinite riletture del folk-country, delle sue intramontabili melodie fielding che accarezzano e danno benessere all’anima dell’ascolto. Ogni suo disco ha regalato visioni, sogni, viaggi stando fermi e atmosfere languide, e questo ragazzone del Kentucky non ha fatto altro che mettere a disposizione di tutti la sua poetica acciottolata, sterrata come le vie secondarie della vita di provincia yankee, lastricate di amori, amarezze e dolci deliri senza recinti.
Ora con “Singer’s grave a sea of tongue” la radicalità di un certo stilema sembra leggermente dissolversi per fare posto ad aperture, arie fresche, soffi gospel “Whipped”, “We are Unhappy”, “Old match”, sempre conservando al caldo quelle strette d’anima tattili alla Gram Parson “There will be spring”, Hank Williams “Night noises”, Daniel Martin Moore, un giro di piccole gemme dall’inestimabile valore looner, ballate che paiono vivere nella marginalità dello spirito quando invece lo nutrono a soddisfazione.
Più che battere parole su parole per descrivere questo album o meglio un lavoro di BPB bisogna ascoltarlo/ascoltarli stando in silenzio, lasciando che il pensiero , il pensiero “migrante” di questo poeta faccia sosta tra te e il cielo Sailor’s grave a sea of sheep..