Partiamo con una potenziale bestemmia: qui c’è del materiale che mi ricorda David Tibet.
“Punish, Honey” è il nuovo disco di Sebastian Gainsborough, in arte Vessel, e qualcuno potrà anche ricollegarsi a Emily Dickinson. Questo è il secondo lavoro dell’inglese per l’enigmatica Tri Angle, etichetta che non si è sgonfiata con la bolla witch house e continua a sperimentare con successo.
Industriale, mistico e totalmente trasfigurato Vessel è riuscito a dare maggior peso specifico alla sua nuova creazione. Se in passato i suoi esperimenti erano percepiti come spaventosamente eterei ora l’identità si tocca con mano, l’ascolto rimanda ad esperienza fisiche di lavorazione di metalli pesanti.
La tendenza all’uso di software, freeware e via dicendo per formulare un nuovo beat è lasciata in un cassetto. Una manipolazione più radicale e intensa si pone in primissimo piano, il rumore duro e puro viene plasmato pur rimanendo primitivo. La percussione ed il riverbero, la tensione costante tra l’ambiente circostante e la ricerca del miglior modo di mettere in pratiche le idee. Tutto il mix d’ingredienti è ben presente in “Punish, Honey” e quasi abbiamo a che fare con un archeologo al cospetto di reperti antichi. Il materiale per essere conservato viene ridefinito acquistando nuove caratteristiche, in un mondo parallelo comunque infettato da hardware e synth.
“Red Sex” è una marcia allo stesso tempo tronfia e nauseabonda, le linee sintetiche ledono una stabilità che non c’è e si procede barcollando in un miasma d’industria lasciata morire dopo l’esplosione del settore terziario. “Drowned in Water and Light” riavvolge un vecchio nastro del passato, la ferraglia è lasciata in secondo piano mentre tra gli schemi della batteria appare un violoncello lasciato andare malinconicamente alla deriva.
“Anima” con i suoi sette minuti sta nel mezzo, non a caso. Il pezzo ha vita propria e si sente il suo respiro profondo tra l’organo, il tamburo battente e un synth metallico. Immaginate di posare l’orecchio al suolo nei pressi di una stazione ferroviaria dispersa nella campagna inglese. Al momento del passaggio del treno le vibrazioni del terreno si uniscono al rumore delle carrozze sulle rotaie, natura e materia fuse. Nel finale resto un riverbero e un movimento sempre più lontano. “DPM” chiude tutto con una danza sghemba, spirituale e brutale. Ronzii, divagazioni quasi jazz, momenti folk frantumati e ricomposti in uno stile unico.
Si chiuda come si era iniziato, implementando la bestemmia: qui c’è del materiale che mi ricorda David Tibet e questo Vessel è una goduria totale.