I’m happy for any emotion to present itself in a song, and to give it room and respect as such [“…] Nihilism isn’t sustainable as a magic feather.
Le interviste di Liz Harris, in arte Grouper, non sono mai banali e forniscono tanti spunti di riflessione. Nel suo ormai lungo percorso artistico fatto di collaborazioni e progetti vari è riuscita a creare uno spazio personale che si trasforma a seconda delle sensazioni scatenate.
Dallo studio del rumore puro alle pastorali drone, dove le performances live si trasformano in episodi ciclici naturali e la ripetizione viene innalzata ad un livello mistico. Dalla forma canzone mai canonica alla sperimentazione estrema con Jamie Stewart ed Eva Saelens (Inca Ore). La musica da camera fusa al cosmico fa di Grouper la stella più lucente del brulicante sottobosco folk drone americano. Lavorare con i concetti di prossimità e lontananza è arduo, si rischia di perdere una bussola interiore che in questo caso è fissata da un’apertura massima ad ogni tipo di emozione. L’assenza di gravità in certi pezzi trascende il concetto di “noia”, spesso chiamata in causa da chi si accosta all’artista con supponenza.
Ora ci si trova di fronte a delle rovine, “Ruins” è il nome del suo nuovo disco, sulla costa portoghese. Qui le tradizioni contadine si mantengono vive in un verde fertile che conduce fino al mare, circondato da alte falesie. Il piano e la voce, tra i rumori dell’ambiente, sono gli appigli a cui aggrapparsi. Seguire i passaggi cantautorali, sì qualcuno dagli schemi rigidi potrebbe offendersi perchè la voce è flebile e a volte una struttura è assente, porta in altri lidi.
Il battito dell’iniziale “Made of Metal” conduce a “Clearing”, in questo secondo pezzo il piano fa capolino per la prima volta, accompagnato da un canto flebile. Immediatamente si ricrea l’intimità e la sincerità presente nei precedenti dischi. “Every time I see you, I have to pretend I don’t”.
“Holding” è un piccolo diamante, Liz Harris e la sua voce lo lavorano con l’aiuto di un pianoforte in loop. It’s in the morning when the sadness comes, e possiamo immaginare l’artista nei suoi momenti di introspezione affacciata ad una finestra con vista mare. I sussurri e i momenti che trascorrono in una pace estrema, dove mettere a fuoco anche le cose più complesse è facile. “I see you sort of fading.”
La solita chiarezza, la consueta onestà ed un suono che si lamenta trascinando con sè un amore che non è nulla. “Call Across Rooms”.
“Labyrinth”, “Lighthouse” e “Holofernes” sono i pensieri a metà , bozzetti lasciati ai fantasmi che prima o poi ritornano a fare capolino nella mente. Interludi, melodie e rumori della fauna circostante creano nuove solitudini che convivono con il passato, tornato in superficie. Non esiste altro che la superficie. L’unico modo per andare oltre la superficie è lavorare sulla superficie, diceva Richard Avedon.
La rovina si chiude proprio con un reperto del passato, una lunga cavalcata ambientale dove drone e chitarre sfumano lentamente in un flusso continuo che potrebbe continuare per ore e ore.
Come è stato possibile ritrovare posto a delle parole che parevano superflue in passato? Come è possibile crescere lasciando libero sfogo ai propri fantasmi? Come è possibile non apprezzare i lavori di Grouper?
Credit Foto: Tanja Engelberts