I Melvins sono il passato, il presente ed il futuro della musica. (Kurt Cobain).
Questo endorsement sarebbe già di per sè sufficiente a presentare i Melvins. Definirli non è facile, nati nel 1983 hanno assomato una trentina d’anni di carriera ed altrettanti album fra full ed EP, genere? Un riuscito mix di tutto, troviamo dello stoner metal/sludge metal, dell’hardcore punk, Swans, Black Flag, Black Sabbath. Il deus ex-machina King Buzzo Osborne ha dichiarato che il suo stile di chitarra è più influenzato dai Black Flag che dai Black Sabbath, .Possiamo dire che il ritmo è il lento, polveroso, stoner, il taglio sonoro il ruvido metal ed il cantato spesso cede al punk. Senza dimenticare la loro rèunion con il frontman dei Dead Kennedys Jello Biafra da qui il nome della band che informalmente divenne Jelvins nel periodo succitato. Ora sono a presentare il loro nuovo album, “Hold it in”.
“Bride of Crankenstein” è un boato sordo e oscuro che arriva da lontano, richiama quasi i suoni dei Prodigy, chitarre distorte e pelli percosse in modo dirompente su una voce che urla dal profondo. “You can make me wait” porta luce nel precedente panorama oscuro, batteria più appiattita, chitarre luccicanti e voci squillanti sono una piacevole ventata di freschezza. “Brass cupcake” resta a cavallo tra psych e punk, suono lisergico e cantato punkeggiante, le chitarre distorcono interrompendosi bruscamente e mutando in un muro di suoni elettronici che imperversano per tutta la successiva “Barcelonian Horseshoe Pit”. Un brano pesantemente prog dove suoni venuti da altri mondi sono i padroni incontrastati, spaziali e tirati portano delittuose distorsioni a colpire con forza le orecchie degli ascoltatori. “Onion make the milk taste bad” attacca con chitarre distorte, le corde sono tirate e gemono sui tocchi di batteria mentre la voce di King Buzzo innalza dolorosi lamenti al cielo. Cascate di psichedelica metallica ammantano “Eyes on you”, veloce e splendente, un brano lisergico con schitarrate taglienti. L’amore per i Black Sabbath (anche se hanno sempre dichiarato di preferire i Black Flag) affiora in “Sesame Street Meat”, suoni scuri e torbidi, un basso che si insinua con forza, voce infernale, profondità oscure avvolgono il pezzo. Ombre scure che si allungano in maniera luciferina in “Nine yards”, ancora corde tese e percussioni imponenti sono la colonna portante. “The bunk up” è una improvvisa variante, sincopata e ritmata, battiti secchi e colpi precisi sono la ritmica di questo brano. “I get along (hollow moon)” ci fa tornare indietro di qualche decina d’anni, suoni seventies, raduni chimici sui prati, ma è un sound che si ascolta sempre volentieri. Così come la successiva “Piss pisstopherson” è piacevole e varia, la varietà degli stili si sa che è una caratteristica di questa band, e qui troviamo tonalità eighties con luci colorate e voci arrotondate a fare da trama. La chiusura dell’album è con “House of gasoline”, una lunga suite di 12′ tambureggiante e ridondante, suoni ossessivi e maledetti, una batteria possente e profonda, il basso imperioso che detta i ritmi alle chitarre sporche.
Questo lavoro nasce a 8 mani tra King Buzzo, Dale Crover e i due Butthole Surfers, Paul Leary e JD Pinkus. Un lavoro che riproduce le varie anime musicali, già richiamate nel prologo, della band, troviamo pezzi stoner, metal, hardcorepunk, virate seventies ed eighties. Un sound caratterizzato sempre da una batteria ben presente e da chitarre in spolvero, il basso interviene sempre con autorevolezza. Un prodotto mediamente molto buono e che merita l’ascolto, vario e di qualità , manca l’hit, ma questa è una mancanza che è nel DNA del gruppo cui è mancato sempre poco per fare il salto nel mainstream.