Anni Settanta a tutto tondo nell’esordio omonimo degli americani di Portland Greylag, un buon viatico espressivo lungo le dorsali beatnik che tanto hanno contribuito alla storia del rock mondiale, nove tracce che “ripassano” la lezione alcaloidizzata del tempo che fu e che ora ““ a ritornarci con la memoria ““ la musica che impera oggi sembra solo merdaccia rapportata a quella del passato che nelle funzioni mnemoniche del quotidiano tratteggia la nostra vita.
Musica, deja vù, vibes flower power e agganci a band molto più in su che ne hanno ripreso le gesta come certi Fleet Foxes, Band of Horses “Born on” per citarne alcune tra le tante, un disco che se da poco di innovazione almeno può servire come sottofondo per giornate galleggianti, quelle in cui si vive di cose addietro e si odia il presente/avanti. La formazione americana preferisce “vincere facile” ma di contraltare nemmeno si cura di avanzare pretese, sdogana queste nove brani tutto sommato molto gradevoli sotto qualsiasi punto di vista, chitarre acusitiche folkly Zeppeliniane “Another”, planimetrie sognanti alla Nash “Yours to shake”, “Black sky”, la dolcezza di un sogno irraggiungibile “Walk the night” e poi raffinatezze, banjo e poetica “Looner” a bilanciare il tutto, un disco di roots e magoni che ““ in fondo ““ senza dare niente ti fornisce il tutto per volare a tempo determinato.
Promossi.