Dalla Svezia arrivano i Goat con ”Commune” e il loro disco però, profuma tutt’altro che di paesi nordici. Se avete presente i Tinariwen, i rockers del deserto, vi sembreranno molto simili.
E difatti il lavoro degli svedesi si orienta su pratiche sonore tipicamente orientali, cercando lo spunto per la tribalità ossessiva e la ripetizione del suono costante, in un vortice che rapisce l’ascoltatore proiettandolo in una dimensione senza riferimento. Immagini distorte da un sound in crescendo che affonda volentieri in un concerto psichedelico martellante.
Si apre con ”Talk to God” dai suoni molto caldi e affascinanti attraversati da intagli di voce che richiamano urla di riti lontani senza tempo.
Anche ”Words” preme da un punto di vista ritmico cedendo il fascino però ad un revival anni ’80 con voci eteree mescolate al senso più coevo di drone-rock. Sconcerta ”The Light Within” per l’uso pichedelico anni’60 che ricorda molto il primo Carlos Santana.
Non soltanto contaminazioni etniche, c’è spazio anche per paragoni ben più ampi, ”Goatchild” per esempio, sprofonda dentro i tessuto atomici dei Door ricalcandone stile e atmosfera.
Con ”Goatslaves” si cresce con le influenze dei Deep Purple meno lirici e ancora sporchi di hardblues, i Goat lasciano sviluppare il tema in una corsa folle di synth e chitarre percussive.
”Hide from the Sun” con un intro da Beatles, cerca combinazioni armoniche trasformandosi presto in un mantra arabeggiante che lascia spazio a distorsioni accompagnate da vocalizzi alchemici.
Chiude ”Gathering of Ancient Tribes” che rappresenta la summa dell’intero disco.
In definitiva si tratta di un disco molto interessante dal punto di vista della musica etnica e spirituale, anche se i Goat cercano evidentemente una sperimentazione molto più vicina alla fusion e all’afrobeat, riuscendo nell’impresa di fondere rock psichedelico senza risultare mai banale.