Notte. C’è un uomo che sta guidando la macchina, tornando a casa dopo un lungo viaggio solitario. I vetri sono appannati, fuori piove, fa freddo e per arrivare manca ancora molto. Tanto. Troppo. Poi all’improvviso, in mezzo al diluvio, compare l’ombra di uno di quei vecchi alberghi fuori mano che sembrano esistere fuori dal tempo. Ecco, se quell’uomo al volante stesse ascoltando un disco, il disco sarebbe proprio “Club Meds”. Il quarto del redivivo Dan Mangan, tornato alla riscossa dopo il successo di “Oh Fortune” e tre anni di pausa causa paternità . Ad accompagnarlo ci sono di nuovo i Blacksmith, eclettico collettivo di musicisti di Vancouver (ovvero John Walsh, Gordon Grdina, Kenton Loewen e quando capita JP Carter, Jesse Zubot e Tyson Naylor).
“Club Meds” ovvero undici suggestioni elettronico ““ cantautorali da brividi (chi riesce ad ascoltare “Kitsch” o la conclusiva “New Skies” senza bisogno di un pacchetto da cinquanta di Kleenex per asciugarsi gli occhi alzi la mano) che ricordano i Blonde Redhead, gli ultimi Astronauts, con un po’ di durezza à la Steve Reich. Giusto per la cronaca, “Club Meds” (il titolo) non è ispirato ai ben noti villaggi vacanze ma a una certa passione per la sedazione chimica (ma non solo) che “ci circonda come una coperta bagnata”, spiega Mangan nelle liner notes.
Niente paura però, “Club Meds” non è un trattato sociologico sui pericoli dello sballo di gruppo nè la predica di un neo ““ genitore preoccupato per il futuro del pargolo. E’ “solo” un gran album che a un primo ascolto sembra inguaribilmente nostalgico, istintivamente nostalgico. In realtà però è critico, polemico, persino un filo cinico (“Offred) con testi che pesano come macigni (“Forgetery”, “War Spoils”, “Mouthpiece”). Un mostro a due teste che ti attira in una caverna per dirti sveglia ragazzino (o ragazzina), che è iniziato un nuovo anno. Sveglia e guarda quello che ti succede intorno.
There is a great vacation from actuality going on. Maybe there always has been. It seems like everybody else is already at the party and that life is somehow easier or more fun under the fog. But instead, it only makes people feel more alone, more dangerous, more desperate. It’s okay, though. We’re all just particles chiosa Mangan sempre nelle liner notes. Siamo solo particelle? Forse. Particelle in lotta costante contro la forza di gravità che cerca di buttarci giù. “Club Meds” è un gran bel paracadute.